E la Popolare rispose al socio allarmato: «Il titolo non crolla ritraccia soltanto»
«Egregio Sig. Rossi, le attuali quotazioni sono estremamente sottovalutate rispetto ai fondamentali della nostra banca … Banca Etruria ritraccia dai massimi … ci sembra ovvio che prima o poi il mercato riconoscerà la validità del progetto industriale». Il socio F. Rossi si è tenuto tutte le mail inviate a Banca Etruria, ufficio Investor Relation, e le risposte ricevute, compresa questa del 21 giugno 2013, nel pieno dell’ultimo quasi disperato aumento di capitale. Non è (anzi, non era) un azionista passivo. È un piccolo imprenditore in pensione (cognome vero, sul nome chiede l’«omissis» ma mette a disposizione il carteggio). Si informava, scriveva, protestava. Ma tutte le volte, fidandosi, decideva di tenere quei titoli acquistati per sé e la moglie negli anni 90. Dopo l’aumento, che ha sottoscritto, li aveva visti precipitare: erano a 1,8 euro a gennaio 2013 sono finiti a 0,4 euro a dicembre. «Dov’è finito il valore di Banca Etruria?», scriveva. «Ritraccia dai massimi pre-crisi», gli rispondevano pudicamente da Arezzo. Ma è come dire che Lehman ha avuto un problemino visto che il titolo è precipitato del 97%. Nel dicembre 2013 nuova mail. È un momento chiave. La Banca d’Italia ha appena concluso l’ennesima ispezione ed è emersa tutta l’incapacità della banca di far fronte al degrado dei crediti, alla copertura dei rischi. Risultato: l’Etruria da sola non può andare avanti, l’aggregazione è necessaria. Al vertice il messaggio della Vigilanza arriva, per iscritto, forte e chiaro. Al mercato invece viene «girato» dalla banca un riassunto molto edulcorato. Dunque l’11 dicembre l’ignaro signor Rossi riscrive: «Dopo tutte le vostre garanzie per tranquillizzare, dopo aver partecipato totalmente alla vostra richiesta di aumento, dopo 6 mesi … la quotazione è fallimentare. Quale giustificazione date ora? La Banca d’Italia è al corrente di questa situazione?». Risposta: tutta colpa di «un contesto volatile e speculativo». L’ultima mail, il 23 novembre scorso («Azzerato il mio risparmio!»), non ha ricevuto risposta. Il titolo aveva ritracciato fin troppo. «Di noi azionisti non parla nessuno», dice Rossi al telefono. «È vero, l’azione è per antonomasia capitale di rischio anche se comprando una popolare mi sembrava di essere conservativo. Ciò che non concepisco è che non ci sia rimasto nulla, nemmeno azioni a un centesimo, il valore di un diritto, della speranza. Neanche con Parmalat è accaduto».