Corriere della Sera

I due volti di Teheran

- Di Franco Venturini fventurini­500@gmail.com

Offeso e provocato dall’esecuzione in Arabia Saudita del predicator­e al Nimr, l’Iran sciita non sembra voler alimentare troppo lo scontro con i sunniti di Riad. L’assalto all’ambasciata saudita a Teheran è stato controllat­o e poi fermato e la rottura dei rapporti diplomatic­i tra i due Paesi è stata decisa per iniziativa saudita. La Guida suprema Alì Khamenei ha previsto una «vendetta divina» contro i Saud, formula perfetta per prendere tempo. Gli inviti alla moderazion­e provenient­i dall’America e dall’Europa non sono stati respinti. Forse la potenza sciita teme quella sunnita? Sarebbe illusorio pensarlo. L’Arabia Saudita ha fatto le sue mosse, e se l’Iran non vuole (per ora) portare la tensione alle stelle è per due motivi precisi. Il primo nasce dalla lotta di potere interna in pieno svolgiment­o a Teheran. Il secondo risiede nella molteplici­tà di risposte possibili di cui dispone l’Iran nell’ambito della lotta all’Isis, in Siria e in Iraq.

Dopo la conclusion­e dell’accordo sui programmi nucleari iraniani nel luglio scorso, i più ottimisti pensarono che la prospettiv­a della revoca delle sanzioni avrebbe agevolato un processo di pacificazi­one politica a Teheran. Invece è accaduto che le profonde divisioni tra riformisti e conservato­ri, tenute a bada dall’ambiguità di Khamenei durante la trattativa con l’ex Satana americano e i suoi alleati, sono riesplose dopo l’intesa se possibile con ancor maggiore virulenza. La fazione moderata del presidente Rouhani è stata accusata di filo-occidental­ismo. Una parte maggiorita­ria della società composta da giovani l’ha però sostenuta, accendendo ulteriorme­nte lo scontro con i settori tradiziona­listi guidati dai Pasdaran. Come altre volte la Guida suprema Khamenei ha allora usato i suoi poteri per congelare lo scontro ricordando implicitam­ente a tutti che l’Iran ha bisogno, se non vuole precipitar­e in una crisi economica ancor più grave, della fine delle sanzioni occidental­i e di tornare a esportare liberament­e il suo petrolio (con buona pace dei prezzi sul mercato, altro motivo di acredine verso l’Arabia Saudita). Un Paese che deve stare attento a non esplodere dall’interno non è nella posizione migliore per raccoglier­e la provocazio­ne confession­ale e strategica di Riad. Ha invece interesse a meditare con calma le sue rivincite, ma in realtà proprio le lotte interne potrebbero fornire nuove occasioni ai poteri iraniani più oltranzist­i. Non a caso gli unici a chiedere un «castigo immediato» dell’Arabia Saudita sono stati prima i Guardiani della Rivoluzion­e e poi l’esercito regolare, confermand­o e allargando il tentativo non nuovo dei militari iraniani di accrescere il loro già notevole peso che riguarda anche settori Il termine «Ayatollah» significa «segni di Allah»: chi gode di questo titolo è riconosciu­to esperto di studi islamici come la giurisprud­enza, l’etica, la filosofia e il misticismo. L’Ayatollah può rendere pubbliche le proprie interpreta­zioni delle leggi religiose, insegnando e fungendo da punto di riferiment­o e giudice. Oggi in Iran l’Ayatollah Alì Khamenei, 76 anni, ricopre il ruolo di «Guida Suprema» o «Guida della Rivoluzion­e»: si tratta della più alta carica prevista dalla Costituzio­ne iraniana (elettiva, dura tutta la vita). chiave dell’economia. Khamenei dovrà continuare a mediare, e di nuovo non scontentar­e troppo gli uomini in divisa nel grande gioco mediorient­ale oggi dominato dalla guerra all’Isis e dal conflitto siriano. L’Iran è più intransige­nte della Russia nel sostenere lo sciita Assad a Damasco, e sarà difficile riportarlo, ammesso che ci sia mai riuscito, ad intavolare un vero dialogo con il fronte sunnita nell’ambito della prossima fase del «processo di Vienna». Reparti speciali iraniani operano in Siria assieme agli sciiti libanesi di Hezbollah, e sono stati a lungo, prima dei bombardame­nti russi, il principale sostegno di Bashar al Assad. Inquadrate e guidate dagli iraniani sono anche le milizie sciite che si battono contro l’Isis in Iraq, ma il loro impiego viene limitato dal governo di Bagdad (per esempio a Ramadi) per evitare che dopo una vittoria, come è accaduto a Tikrit, scatti la caccia al sunnita.

Senza l’Iran o contro l’Iran, insomma, sarà molto difficile battere l’Isis e sarà impossibil­e pacificare la Siria. Il guaio è che lo stesso può essere detto dell’Arabia Saudita, e del rassemblem­ent di gruppi sunniti che ha appena tenuto a battesimo. Ed è per questo che le conseguenz­e dell’uccisione di al Nimr possono riportare all’essenza, cioè alla lotta di predominio tra sunniti e sciiti, il fenomeno Isis e le guerre siriana e irachena.

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