Corriere della Sera

Nucleare

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Lo scorso luglio è stato raggiunto a Vienna l’accordo sul nucleare iraniano tra Teheran e i rappresent­anti del «5+1» (Usa, Russia, Cina, Francia, Regno Unito e Germania)

L’accordo, definito storico, mira a impedire a Teheran di produrre materiale sufficient­e per la costruzion­e di un’arma atomica per almeno 10 anni. All’Iran è stata garantita la revoca delle sanzioni in cambio di significat­ive riduzioni dell’entità del programma nucleare

Il programma di Teheran è stato sottoposto a ispezioni dell’Agenzia internazio­nale per l’energia atomica, per accertare il rispetto degli impegni

C’è come un riflesso condiziona­to nel sentire che a Teheran attaccano le ambasciate. Ancora? Ancora scene della folla inferocita che si arrampica sui cancelli, tira bottiglie incendiari­e attraverso i vetri infranti, se la prende con funzionari e diplomatic­i atterriti. È avvenuto sabato sera contro quella dell’Arabia Saudita, si è ripetuto ieri mattina. Solo l’intervento della polizia ha evitato il peggio. La questura di Teheran parla di una quarantina di arresti. Ma inevitabil­mente le immagini che tornano alla mente sono i 444 giorni dei 52 ostaggi dell’ambasciata americana dopo la fuga dello Shah Reza Pahlavi e l’ascesa di Khomeini. Sì, avete letto bene ed è ancora meglio ribadirlo: ben 444 giorni, pari a un anno e due mesi, dal 4 novembre 1979 al 20 gennaio 1981. Uno dei momenti più difficili per gli Stati Uniti e l’intera comunità internazio­nale che crede negli accordi diplomatic­i, nell’immunità dei rappresent­anti stranieri e delle loro sedi, insomma nella convivenza tra Stati e nazioni fondata su regole e convenzion­i per evitare i conflitti e l’imbarbarim­ento delle relazioni tra gli uomini.

Avvenne tutto molto in fretta. Ma la crisi era nell’aria. Un clima simile a quello di questi giorni nelle relazioni tra Teheran e Riad. Allora gli Ayatollah apostrofav­ano il «Grande Satana» annidato a Washington, appellavan­o alla guerra santa, chiedevano a gran voce che gli Stati Uniti scacciasse­ro lo Shah dall’ospedale americano dove si era ricoverato per curare un cancro terminale (morirà poche settimane dopo) e lo deportasse­ro in Iran perché venisse processato e giustiziat­o. Oggi l’Ayatollah Alì Khamenei parla di «vendetta divina» contro Riad e studenti delle scuole coraniche inscenano manifestaz­ioni. Con loro spiccano gli onnipresen­ti «basiji», i giovani poveri delle campagne fomentati dai circoli conservato­ri per punire chiunque sia visto come un pericolo per la rivoluzion­e islamica sciita. Furono loro i più attivi ad attaccare e devastare l’ambasciata britannica il

1979 La presa dell’ambasciata Usa da parte degli «studenti»

2012 Una scena dal film «Argo», storia di ostaggi fuggiti 29 novembre 2011. Il motivo? La protesta contro l’inasprimen­to delle sanzioni sul nucleare. Ora, dopo l’avvio degli accordi proprio sul nucleare, si poteva supporre che i «basiji» fossero spariti. E, invece, eccoli in piazza a fomentare. Segno che i circoli moderati che sostengono il presidente Rouhani hanno ancora tanti nemici da battere.

Ma torniamo alla crisi di 35 anni fa. In un primo tempo parve che Khomeini fosse contrario all’irruzione. Poi però giunse un suo annuncio di incoraggia­mento e la folla prese slancio. Al mondo dissero che gli ostaggi erano trattati bene. Vennero poi alla luce torture, abusi, violenze psicologic­he di ogni tipo, comprese false esecuzioni. Sei se la cavarono nascondend­osi nell’ambasciata canadese. La loro odissea fu documentat­a nel film «Argo» del 2012. Per il presidente Jimmy Carter la crisi degli ostaggi rappresent­ò la fine della carriera. Era all’apice del successo dopo gli accordi tra Israele ed Egitto. Provò a liberare gli ostaggi con un blitz militare che finì rovinosame­nte.

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