«Così mio fratello Adil è stato sedotto dal Califfo»
La testimonianza agli inquirenti: «Vedeva nell’Isis la soluzione dei problemi»
Adil era diventato taciturno, cupo e misterioso. Non che prima fosse un esempio di loquacità, sospira suo fratello Fouad. Un giorno ebbe uno slancio vitale e parlò entusiasta di un video. Fu lì che Fouad capì tutto: erano le immagini di un campo di addestramento dell’Isis. «Gli ho detto “cancellalo, questa è una follia e stai molto attento perché in Italia ti arrestano”».
I tormenti di Fouad Baamarouf, operaio quarantaduenne marocchino di Monselice, iniziarono quella sera d’agosto. Adil, 37 anni, cassintegrato deluso e solo, si stava avvicinando al mondo del Califfo. «Parlava dell’Isis come della soluzione di molti problemi. Diceva che quando non hai più nemmeno da mangiare puoi fare anche il combattente, è giusto. Io ho la sua responsabilità e gli ho detto di scordarselo. Ho cercato di fargli cambiare idea in tutti i modi, ma lui era sempre molto silenzioso», dice Fouad seduto sul letto della casa di Monselice dove abita, un tugurio immerso nelle nebbie padane che lambiscono i Colli Euganei.
E così, quando lo chiamò l’appuntato dei carabinieri della cittadina veneta per chiedergli chiarimenti sul fratello minore perché le voci sulle sue stranezze avevano preso a gidell’Interno: rare, Fouad gli raccontò cosa stava succedendo, pensando di fare il bene di Adil. «Ero preoccupato per lui, non aveva più un lavoro e iniziava a fare quei discorsi...». Le dichiarazioni di Fouad hanno acceso la lampadina dell’antiterrorismo di Venezia che ha aperto subito un’indagine su Adil mettendo in campo il Ros dei carabinieri. Cinque mesi di lavoro e qualche conclusione, girata tempestivamente al ministro «Baamarouf ha abbracciato l’ideologia jihadista... È stato estromesso dall’associazione culturale islamica di Monselice per le sue posizioni fondamentaliste... Vuole combattere per lo Stato Islamico per “vendicare il mondo arabo” e per “far esplodere la città di Roma, luogo dal quale deve iniziare l’Islam”». Uno, due, tre. Il ministro dell’Interno Alfano non ci ha pensato molto e il 21 dicembre ha firmato il decreto di espulsione, eseguito il 29. «Non mangio da tre giorni, sono rimasto scioccato da quello che è successo. Non dovevano mandarlo via. Potevano indagare, quello sì, verificare cosa stava facendo, ma una cosa è certa: lui non è un terrorista».
Adil, che ora è a Casablanca in stato di fermo, viveva con lui in queste due stanze senza gas, senza riscaldamento, umidissime, cigolanti e ammuffite. «Quattrocento euro al mese, 200 in nero». La loro è la storia di una coppia di fratelli molto diversi. Entrambi musulmani di Ben Slimane, uno laureato in legge, arrivato nel nostro Paese 16 anni fa, integrato, lavoratore e con un grande spirito di abnegazione: «Io penso che quando si entra in un Paese devi accettare le regole, bisogna solo aver pazienza e alla fine tutto arriva, questo gli dicevo » ; l’altro, Adil, qui dal 2008, solitario, chiuso e ribelle. «Quando è arrivato in Italia Adil diceva “io non parlo con i cristiani”. Non puoi Adil, gli spiegavo, ora sei qui e qui vivono i cristiani. Tu puoi continuare a fare il musulmano, ma devi parlare anche con loro».
Diversi in tutto. Fouad che scrive gli auguri di Natale, che si era fidanzato con una ragazza cattolica italiana, che lavora come operaio degli imballaggi, che sacrifica molto e ottiene poco, che prega Allah e dice «per il Corano non si può uccidere, per nessuna ragione». L’altro che vive male il lavoro, rifiuta il sistema e finisce per detestarlo, impoverendosi e simpatizzando per l’Isis dove forse intravede un riscatto sociale. «È facile trovare giovani disperati da portare in Siria: basta dargli tre soldi, un kalashnikov e convincerli che se muoiono diventano martiri». Adil era disperato? «Era infelice. Gli dicevo che intanto poteva mangiare con me, abitare con me, gli mettevo tutti i giorni 10 euro sul tavolo. Ma il fatto è che lo vedevo poco e non potevo controllarlo perché io mi sveglio presto per andare in fabbrica, quando lui dormiva, e torno alle 18, quando lui non c’era. Dove andava? Non lo so. So solo che qualche volta faceva brutti incontri».
Il ministero dice che è stato cacciato dal Centro culturale islamico perché fondamentalista. «Lì mio fratello insegnava ai bambini ma non andava d’accordo con l’imam. Anch’io non condivido certe cose: quello è un suk. Si compra e si vende di tutto, dai contratti di lavoro agli affitti alle macchine. Hai bisogno di un posto di lavoro? Paghi e te lo trovano. Capito? Questo non è Islam, non è Corano».
Poi i progetti: far saltare Roma. «Ma no, l’avrà detto tanto per dire», lo difende aprendoci la cameretta di Adil. «Ecco quello che rimane di lui». Le chiavi della Punto grigia, cinque monetine, una foto tessera e il suo Corano: «Lo leggeva sempre». Il timore di Fouad è quello: vedere un giorno Adil su Al Jazeera, fra gli uomini neri dello Stato Islamico.
Diceva che quando non hai più nemmeno da mangiare puoi fare il combattente. Gli spiegavo che sbagliava, ma lui taceva