Corriere della Sera

Un Paese da «wow» dove lo stupore resta senza parole

- Di Luca Mastranton­io

Alejandro González Iñárritu per il suo nuovo attesissim­o film The Revenant («Redivivo») non si accontenta che lo spettatore provi stupore per la spettacola­re natura selvaggia del film. No. Il grande regista messicano, Oscar per Birdman, vuole che lo spettatore esprima quello stupore e urli «wow!», intendendo uno stupore che lasci senza parole. Queste tre lettere, che il Guardian usa come titolo dell’intervista, sono la nuova (onomatopei­ca) parola d’ordine di una società che vuole produrre e consumare stupore. Nell’epoca degli emoticon, dell’irrazional­ità dominante, più dei sostantivi concettual­i funzionano le esclamazio­ni onomatopei­che, che esprimono il suono che accompagna un’azione, uno stato d’animo... In Italia, ci piaccia o meno, siamo molto avanti in questo, anche per la « graforrea » con cui oggi tendiamo ad avvicinare la scrittura alla lingua parlata. Così, come se vivessimo in un fumetto, un libro contro «adulatori» o «lecchini» viene intitolato «slurp», mentre non si dice più che una cosa è «esplosiva», una «bomba», ma la si detona con la bocca: «Boom!». I dubbi non esistono, piuttosto c’è il «boh», cui Lorenzo Jovanotti ha dedicato anni fa il libro Il grande boh. Oggi al posto dello «stupore» o della «meraviglia» c’è il «wow», tanti «wow», momenti di stupefacen­te entusiasmo (in italiano la «o» di stupore si incastona tra due «v doppie» con cui si può abbreviare l’«evviva»): non si dice «mi sento in forma», bensì «mi sento wow», una ragazza non è «da urlo» ma è «wow». A dicembre qualcuno ha detto che l’Italia, benché piena di «mah» (dubbi), è un Paese «wow». Chi è? Renzi (gulp).

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