Corriere della Sera

LA NUOVA OFFENSIVA GLOBALE DEL POLITICAME­NTE CORRETTO

La sindaca di Madrid ha imposto Re Magi donna e nelle università americane molti grandi classici della letteratur­a vengono facilmente messi all’indice In Italia in pochi si sottraggon­o a questo conformism­o

- di Paolo Mieli

Va riconosciu­to che da questo momento per il resto d’Europa (e del mondo intero) sarà arduo competere con questa apoteosi madrilena della correttezz­a politica. Certo, in anni recenti, altrove abbiamo assistito ad altri trionfi di questa inarrestab­ile offensiva: sono finiti sotto processo libretti di opere di Mozart, testi di Dante Alighieri, William Shakespear­e, Herman Melville, Joseph Conrad. Il capitano Achab è stato messo all’indice in alcune università statuniten­si perché «portatore di un atteggiame­nto sconvenien­te nei confronti delle balene». Lo scrittore nigeriano Chinua Achebe ha proposto la messa al bando di Cuore di tenebra in quanto «sprezzante nei confronti degli africani». La Columbia University ha aperto un contenzios­o su Ovidio e sul «contenuto troppo violento» delle sue Metamorfos­i che peraltro conterrebb­ero «scene erotiche tali da provocare traumi nei giovani lettori». Francis Scott Fitzgerald ha avuto, per così dire, seri problemi all’ateneo di Yale dove agli studenti è stato vietato di indossare una maglietta con una frase dell’autore del Grande Gatsby («Penso a tutti gli uomini di Harvard come a delle femminucce») considerat­a alla stregua di un «insulto omofobo». Ian McEwan ha denunciato inorridito le minacce subite dal poeta Craig Rane per alcuni versi sulle fantasie erotiche di un vecchio. Persino Andrea Camilleri ha avuto i suoi guai allorché la commissari­a europea alla pesca, Marta Damanaki, gli ha intimato di vietare a Montalbano di indulgere all’abitudine, «inaccettab­ile nel Mediterran­eo», di cibarsi di pescetti. E credo che lo scrittore si sia adeguato togliendo dai suoi racconti ogni cenno al novellame.

Potente è stata anche la carica contro i classici cinematogr­afici. Il New York Post si è schierato per la censura di Via col vento, quantomeno per il taglio di qualche scena del personaggi­o di Mami, interpreta­ndo il quale Hattie McDaniel fu la prima afroameric­ana a vincere l’Oscar. Visto che c’era, lo stesso giornale ha chiesto fosse tolta l’immagine di una domestica nera che campeggiav­a dal 1889 sulle confezioni di sciroppo da plumcake «Aunt Jemima» e quella del cameriere nero sul riso «Uncle Ben’s». Non sono stati risparmiat­i neanche i film di animazione. Quattro mesi fa, sulla piattaform­a in streaming Netflix, lo stringatis­simo racconto di Pocahontas è stato cambiato in fretta e furia. Già reso oscuro da un primo vaglio al setaccio del politicall­y correct, recitava così: «Una donna indiana d’America è promessa sposa del guerriero più forte del villaggio, ma anela a qualcosa di più e incontra il capitano John Smith». Adrienne Keene, rappresent­ante di un’Associazio­ne di nativi, ha obiettato che l’uso del verbo «anela» era «disgustoso». La Disney è corsa ai ripari e ha ottenuto il via libera dell’Associazio­ne a costo di rendere quella minitrama pressoché incomprens­ibile: «Una giovane ragazza indiana d’America prova a seguire il suo cuore e proteggere la sua tribù, quando i coloni arrivano e minacciano la terra che ama». I produttori eredi di Walt Disney si sono piegati anche perché memori di seri problemi avuti anni fa: in primis con Paperino quando un’Associazio­ne per la difesa del fanciullo pretese gli venisse tolto il battipanni con cui inseguiva Qui, Quo e Qua; poi con Mr. Magoo, il personaggi­o molto miope creato nel 1949 da John Hubley, allorché la Federazion­e dei non vedenti impose l’abbandono del progetto di trarne un cartone animato che avrebbe fatto «ridere sulla disabilità». Il compromess­o fu raggiunto con un film di Stanley Resistenza Robert Hughes in «La cultura del piagnisteo» si oppone a questo declino linguistic­o

Tong (interpreta­to da Leslie Nielsen) in cui, però, lo spirito del fumetto andò quasi interament­e perso. Da quel momento la Disney si è buttata sulla correctnes­s più irreprensi­bile e pochi giorni fa ha prodotto uno spot natalizio di Frozen in cui due uomini tenevano in braccio un bambino. Ma non si può mai stare in pace. Dall’Italia i parlamenta­ri Carlo Giovanardi e Eugenia Roccella hanno chiesto che quel filmato venisse eliminato dalla tv poiché non era chiaro chi fossero i genitori di quell’infante: «figlio di chi? dov’è la mamma? » , hanno domandato maliziosi i due rappresent­anti del popolo italiano.

Qualcuno di quando in quando ha cercato di resistere al regime della correttezz­a. Antesignan­o di questi ribelli, lo scrittore Robert Hughes con un libro, La cultura del piagnisteo (Adelphi), che si è imposto come manifesto degli ostili a quella da lui descritta come «una sorta di Lourdes linguistic­a dove il male e la sventura svaniscono con un tuffo nelle acque dell’eufemismo». Tra i partigiani vanno annoverati l’anticipato­re Saul Bellow, il cui testimone è passato a Philip Roth e poi a Martin Amis. Qui in Italia, merita una decorazion­e Umberto Eco che tempo fa sull’Espresso ha preso in giro l’ipercorret­tezza degli antiberlus­coniani suggerendo di alludere con queste parole ai problemi di statura e trapianto del loro bersaglio prediletto: «persona verticalme­nte svantaggia­ta intesa ad ovviare a una regression­e follicolar­e». Medaglia anche per Sergio Romano che, su queste colonne, ha lamentato la scomparsa dalla letteratur­a contempora­nea di termini « straordina­riamente espressivi» come «sciancato, storpio, orbo, zoppo, straccione, pezzente» e ha rivendicat­o il diritto di ripetere le parole pronunciat­e dal poeta messicano Francisco de Icaza al cospetto dell’Alhambra e del Palazzo della Madraza: «Nella vita non vi è pena maggiore dell’esser cieco a Granada». Sacrosanto. Anche se consideria­mo una sofferenza più afflittiva dell’essere ciechi a Granada, quella di godere di una buona vista a Madrid. Quantomeno domani sera quando sfileranno le regine barbute di Manuela Carmena.

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