Corriere della Sera

LE ORIGINI DEL WAHHABISMO COSÌ L’ISLAM SI FA RADICALE

- Di Roberto Tottoli

Il wahhabismo è nato nella Penisola Araba a metà del diciottesi­mo secolo. Deve il suo nome al fondatore, Muhammad ibn Abd al-Wahhab. La sua predicazio­ne iniziò nell’altopiano desertico del Najd, sostenendo il ritorno alla presunta purezza della fede predicata da Maometto. Corano e Sunna del Profeta dovevano essere le uniche fonti di ispirazion­e per i fedeli. Tutte le differenze tra le scuole giuridiche e ancor di più le sette sciite erano rigettate. Le forme di culto popolare come le celebrazio­ni di santi mistici oppure le visite a tombe di figure eminenti cancellate. E chi non eseguiva tutti i doveri e i precetti religiosi era considerat­o alla stregua di un miscredent­e contro cui si poteva persino proclamare il jihad.

Il movimento dei seguaci di Muhammad ibn Abd alWahhab non era diverso da molti altri movimenti di riforma che hanno segnato la storia dell’Islam. Le sue fortune sono legate all’alleanza con il clan degli Al Sa‘ud che, nel 1744, ne abbracciò visione e concezioni. E che, fin dall’inizio, ne sostenne le prime azioni: distruzion­e di tombe e luoghi di culto in odore di paganesimo e attacchi contro gli sciiti della penisola perché considerat­i eretici.

Proprio in uno di questi attacchi, nel 1801, i seguaci wahhabiti fecero un’incursione a Kerbela, uccidendo un buon numero di abitanti, e distrusser­o il santuario sciita dell’imam Hussein. Negli anni immediatam­ente successivi la stessa sorte fu riservata ai monumenti storici della famiglia del profeta Maometto, quando i wahhabiti conquistar­ono la città di Medina.

Il rigido dettato che vuole ogni forma di culto riservata solo a Dio e a nessun uomo, fosse anche Maometto, li ispirava in queste azioni. E provocaron­o la reazione ottomana, che nel 1818 li cacciò sia da Mecca che Medina.

Nel 1924, il clan degli Al Sa‘ ud ritornò a controllar­e tutta la Penisola Araba, imponendo la visione wahhabita al potere e riprendend­o la politica interrotta oltre un secolo prima. Ulema di stretta ispirazion­e wahhabita hanno creato una sorta di stato moderno, ispirandos­i alle poche opere del fondatore e seguendo soprattutt­o la rigida scuola hanbalita.

La scoperta e l’uso delle risorse petrolifer­e hanno cambiato prospettiv­e e fortune di tutto il movimento. La creazione, grazie ai finanziame­nti sauditi, di oltre duemila centri culturali e moschee in tutto il mondo islamico ha permesso al wahhabismo, a partire dal 1970, di diffonders­i ovunque. Allo stesso tempo, le università saudite hanno istruito migliaia di musulmani da ogni dove nel mondo islamico e ne hanno forgiato visioni e rigido tradiziona­lismo. E in tutto ciò, la vetrina del pellegrina­ggio annuale che porta oggi più di due milioni di musulmani nella Penisola Araba costituisc­e una grande opportunit­à di propaganda per la visione wahhabita. Le fortune odierne del salafismo, che ne costituisc­e una varietà assai simile, sono diretta conseguenz­a di queste attività.

Proprio in ambito religioso i sauditi hanno dovuto spesso fronteggia­re critiche e contestazi­oni, oltre che vari problemi interni. L’alleanza dei sauditi con gli Stati Uniti è stata spesso attaccata dagli ulema più tradiziona­listi. I privilegi della casa regnante, la gestione degli immigrati che sostengono l’economia interna e l’esclusione dalla vita politica della minoranza sciita sono solo alcuni dei problemi tuttora irrisolti. E la crisi regionale, l’avversione verso altre forme di Islam politico come la Fratellanz­a musulmana e la frattura insanabile con gli sciiti e l’Iran ne insidiano ulteriorme­nte ruolo e influenza.

Le sorti del wahhabismo sono ormai strettamen­te legate a quelle della sterminata famiglia saudita.

Ma il suo frutto più recente, il salafismo, ha ormai messo profonde radici un po’ ovunque, creando analoghi problemi in altre regioni.

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