Corriere della Sera

CHI RACCOGLIE LE TASSE PUÒ CHIUDERE IN ROSSO? IL RECORD NEGATIVO DI «RISCOSSION­E SICILIA»

- Di Sergio Rizzo

Mercoledì scorso schiumava rabbia Antonio Fiumefredd­o, alla notizia che l’assemblea regionale siciliana aveva affondato la ricapitali­zzazione della società regionale da lui presieduta. «Mascalzoni travestiti da uomini delle istituzion­i» ha definito i franchi tiratori responsabi­li di aver votato contro il finanziame­nto a Riscossion­e Sicilia, che ha il compito di incassare le tasse nell’isola, aprendo così uno scenario denso di incognite. Non era certo la prima volta che la Regione veniva chiamata a tappare i buchi delle esattorie, anche se questa volta più che di buco si dovrebbe parlare di voragine. Quattordic­i milioni e mezzo nel 2014, il doppio del 2013, e chissà quanti nel 2015. Per farsi un’idea basta leggere la relazione all’ultimo bilancio approvato a marzo scorso, dove testualmen­te «non si esclude che in assenza di idonei interventi normativi o di significat­ivi incrementi dei ricavi, i soci saranno chiamati ad apporti finanziari tali da garantire la continuità aziendale». Dove per soci si intende la Regione siciliana, che ha il 99,952% ed Equitalia, con lo 0,048%. Nel solo 2014 le perdite hanno superato di slancio i 20 mila euro per ciascuno dei 702 dipendenti. La riscossion­e sui ruoli è scesa del 16,7 per cento, con un crollo del 31,7% a Palermo, mentre gli incassi sugli avvisi di pagamento sono precipitat­i dell’81,8%. Quanto alla produttivi­tà, dice tutto questo paragone: 16 centesimi per euro riscosso il costo di Riscossion­e Sicilia, 12,8 quello di Equitalia. Sappiamo quanto sia stata travagliat­a la storia delle esattorie siciliane, e non ci sfuggono le difficoltà di un’economia così fragile qual è quella isolana. Ma che sia normale per una società incaricata di riscuotere le tasse chiudere i conti perennemen­te in perdita e che poi tocchi ai contribuen­ti mettere mano al portafogli­o, proprio no. E anziché prendersel­a con le «mascalzona­te» di qualcuno, sarebbe forse meglio interrogar­si su questo.

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