FLAIANO, L’ITALIANO QUALSIASI E IL «PARTITO» DI ZALONE
Quando un fenomeno ha la portata del successo di Zalone scatta la gara a interpretarlo. Per studiarlo bisogna centrarlo, come fa lui stesso nel film colpendo con un proiettile al sonnifero l’orso bianco. Ma è difficile, perché Zalone fermo non sta: va da De Filippi a sbertucciare Jep Gambardella della Grande bellezza o alla libreria Feltrinelli a duettare con De Gregori, all’Arena di Giletti o da Fazio a Che tempo che fa. Ovunque, fa sua la pelle del padrone di casa, e ci gioca come una pelliccia, si mimetizza.
La sinistra è in imbarazzo, perché contro Zalone non funzionano le vecchie armi antropologiche, così Repubblica ne incensa laicamente il talento con Nicola Lagioia. La destra esulta: tanto quella ostile al premier, parlando di un film antiriforme ( Libero), quanto quella filorenziana ( il Foglio, con Mariarosa Mancuso). Ma più di una logora etichetta «qualunquista», è rivelatrice la matrice «cattolica» dell’ironia di Zalone (non giudicante, ma empatica), rivendicata dal regista e sodale Gennaro Nunziante; che alla Stampa poi ha detto di avere simpatie per i grillini e di fare il tifo per Renzi. Il quale, corso a vedere Quo vado?, si è trovato di fronte la versione cinematografica dell’agognato partito della nazione: il partito di Zalone, che piace a destra e a sinistra, dal centro (catto-qualunquista?).
E di quale tipo italiano stiamo parlando? Andando indietro, oltre Fantozzi e Sordi, c’è l’«Uomo qualsiasi» di Ennio Flaiano, che in un taccuino del Diario notturno (1956), scriveva di un amico: «I secoli hanno lavorato per produrre questo individuo di stanche ambizioni, furbo e volubile, moralista e buon conoscitore del codice, amante dell’ordine e indisciplinato, gendarme e ladro secondo i casi», la cui morale si «modella sull’economia»; e «un confuso scetticismo lo invita a conquistarsi un benessere personale ad ogni costo».
Con il finale che assolve, l’italiano di Zalone sembra la versione risolta del bipolare di Flaiano: l’italiano qualsiasi.