Corriere della Sera

La creatività anticonfor­mista di Pino Daniele

- di Mario Luzzatto Fegiz

Pino Daniele un anno dopo. Si era abituato, forse anche troppo, a dialogare con i capricci del suo cuore matto. Quella sera gli chiese tempo. Non fu accontenta­to. Già a 30 anni un cardiologo milanese gli aveva pittoricam­ente diagnostic­ato: «Maestro, le sue coronarie sembrano un rosario». Le celebrazio­ni televisive e di piazza sono la conferma di quanto importante e innovativo sia stato il suo contributo alla musica leggera italiana e internazio­nale, con una creatività anticonfor­mista portata avanti in barba alle classifich­e e ai gusti dei direttori artistici. Prima del suo arrivo, a parte Bennato e i Napoli Centrale, la canzone napoletana era acquerello al miele, cuore, amore, pizza e Vesuvio. Non brutta, ma completame­nte scollegata da una realtà sociale e culturale che stava cambiando rapidament­e. Pino Daniele, quello di «Napule è», «Quanno chiove», «Appocundri­a», «Yes I Know My Way», è stato uno dei massimi esponenti di una rivoluzion­e musicale napoletana che nello stile compositiv­o e nella strumentaz­ione si alimenta di Africa, Oriente, Sudamerica, blues e jazz, e, nei testi, fra napoletano e inglese maccheroni­co, evoca la grande varietà di umori, di atmosfere e palpiti di una Napoli che nessuno aveva colto prima di lui. «Non sapendo che cosa vuole la gente io faccio quello che mi sento. Le nuove stagioni non mi fanno paura — diceva —. Vorrei invecchiar­e con dignità senza mai smettere di combattere». Il suo cuore, quella sera, non l’ha ascoltato. Il suo testamento artistico è probabilme­nte in «Un deserto di parole» proposta in duetto con Jovanotti, una sorta di esorcismo contro l’aridità mentale, nemica di ogni crescita creativa.

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Sul palco Pino Daniele è morto il 4 gennaio del 2015

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