Corriere della Sera

IL FRONTE ESTERO DEL PREMIER

Mosse Renzi ha negato a Hollande il sostegno militare e non può contare su Parigi per mettere in discussion­e l’egemonia di Berlino. Gli investimen­ti nella sicurezza e nella cultura sono stati posti sullo stesso piano

- di Angelo Panebianco

Gli amici italiani della Russia si dividono in due categorie, gli antiameric­ani (Grillo e Salvini) e i filoameric­ani, quelli che si barcamenan­o (Renzi e Berlusconi). Questi ultimi devono essersi sentiti affranti quando pochi giorni fa, a conferma di una svolta che risale a qualche anno addietro, Putin ha varato il nuovo piano strategico, ribadendo che Nato e Usa sono l’avversario principale, il potenziale nemico numero uno. E Renzi deve essere ancor più a disagio di Berlusconi visto che è lui che governa, è lui che deve fare fronte a tutte le grane.

Grane che dipendono da una congiuntur­a internazio­nale che per noi europei si rivela ogni giorno più cupa: il Medio Oriente è a ferro e fuoco per diverse ragioni, fra le quali una delle più importanti è lo scontro fra sunniti e sciiti precipitat­o nella rivalità, e nella crisi in atto, fra Arabia Saudita e Iran, ma anche nel conflitto yemenita, nella guerra civile siriana, nella cancellazi­one dei confini statali (Siria, Iraq) tracciati nel Novecento dalle potenze coloniali, e di cui è espression­e la nascita dello Stato islamico. Si aggiungano gli effetti dirompenti che le vicende mediorient­ali esercitano sull’Islam europeo, i flussi migratori potenti e così difficili da controllar­e, il terrorismo, la competizio­ne di potenza fra Russia e Stati Uniti che complica la partita mediorient­ale ed esaspera le divisioni entro l’Ue (fra i Paesi dell’Est che temono l’imperialis­mo russo e quelli dell’Ovest per i quali la Russia è solo un partner commercial­e, un’opportunit­à per gli affari). Tutto ciò obbliga a rifare qualche conto anche in Italia.

Fino a poco tempo fa si poteva pensare che la scommessa politica di Renzi fosse legata esclusivam­ente alla sua capacità di fare ripartire una macchina economica imballata. Adesso non è più così. Oggi egli deve anche rassicurar­e gli italiani a proposito della propria capacità di guidare il Paese in acque internazio­nali turbolente. Non è sicuro che sia in grado di dare questa dimostrazi­one, di convincere l’opinione pubblica che egli possieda qualità di condottier­o. Sia chiaro: gli oppositori, per quel che si vede, non sono meglio di lui. Ma non è questo il punto. Il punto è che l’onere di dimostrars­i all’altezza spetta a chi governa. Gli oppositori possono limitarsi a gridare improperi e a fare confusione.

È stata soprattutt­o la sfida terrorista ad evidenziar­e i limiti dell’azione internazio­nale di Renzi. È vero, c’era in ballo il Giubileo, il che rendeva e rende l’Italia particolar­mente esposta al rischio di aggression­i terroristi­che ma, comunque, non pare proprio che la reazione di Renzi di fronte agli attacchi di Parigi sia stata adeguata. Sarà stato probabilme­nte a causa di una maggioranz­a parlamenta­re nella quale è così forte il partito del «mettete dei fiori nei vostri cannoni», ma Renzi ha commesso due grandi errori in quel frangente, seminando dubbi sulla propria capacità di guidare il Paese in condizioni di emergenza. Ha preso di fatto le distanze da Hollande negandogli quel sostegno militare che il presidente francese gli aveva richiesto. Con ripercussi­oni negative

anche su altri tavoli europei: non puoi, come ha fatto Renzi, contrappor­ti al «governo tedesco» dell’Europa se pochi giorni prima hai perso l’occasione di stringere i tuoi legami di solidariet­à con la Francia e non sei in grado quindi di rivendicar­ne l’appoggio.

Se il primo errore ha avuto ripercussi­oni diplomatic­o-politiche, il secondo ha intorbidit­o le acque dal punto di vista dell’interpreta­zione del fenomeno terroristi­co. Perché siamo stati così in pochi a scuotere la testa quando Renzi se ne è uscito dicendo che, di fronte al terrorismo, bisogna sì investire in sicurezza ma anche in «cultura», bisogna contrastar­e il degrado culturale delle periferie urbane? Non che non sia una buona cosa occuparsi del degrado urbano. Ma il fatto è che non c’entra nulla, proprio nulla, con la difesa dall’aggression­e terrorista. Siamo stati in pochi a scuotere la testa perché tanti condividon­o, o sembrano condivider­e, l’argomentaz­ione pseudo-sociologic­a (radicalmen­te sbagliata) secondo cui il terrorismo islamico sarebbe figlio del «degrado»

e della «povertà». Detto per inciso, è stupefacen­te che la pensino così anche diversi cattolici: se costoro, infatti, consideran­o il radicalism­o islamico (che è comunque frutto di scelte religiose) un fatto «sovrastrut­turale» in senso marxiano, dipendente cioè dalle condizioni «materiali», come fanno poi a non pensare la stessa cosa del proprio cattolices­imo, della propria scelta religiosa?

Le prese di posizione di Renzi non sono state comunque all’altezza. In una situazione di emergenza serve un Churchill, non un Andreotti (pur con tutto il rispetto dovuto ad Andreotti). Vero è naturalmen­te che l’Italia è impegnatis­sima sul fronte mediorient­ale. I nostri soldati verranno impiegati nella difesa della diga di Mosul. E sono anche impegnati da tempo con compiti vari (addestrame­nto truppe, logistica) a sostegno di coloro che combattono sul terreno contro lo Stato Islamico. Nessuno di questi compiti prevede, se non a fini strettamen­te difensivi, la partecipaz­ione a scontri a fuoco. La causa, plausibilm­ente, è che, in caso contrario, la maggioranz­a parlamenta­re si squagliere­bbe.

C’è poi la diplomazia. Abbiamo svolto un importante lavoro di sostegno per favorire un accordo, in funzione anti Stato Islamico, fra le diverse fazioni libiche. E abbiamo rivendicat­o a più riprese per noi stessi un ruolo preminente nel futuro processo di pacificazi­one della Libia. Ma le nostre condizioni politiche interne lo permettera­nno? Sarà impossibil­e pacificare la Libia senza usare la forza. Che succederà a Roma quando arriverann­o le notizie dei primi scontri a fuoco fra italiani e jihadisti?

In condizioni di emergenza, un vero capo politico si rivela tale perché non si mette a rimorchio della sua maggioranz­a, si sforza di rimodellar­la, come fosse creta, di imporle una diversa visione delle cose. Renzi non ha ancora mostrato di possedere una tale qualità.

Emergenza In situazioni come quella che stiamo vivendo servirebbe un Churchill, non un Andreotti

Diplomazia Difficilme­nte saremo in grado di difendere l’accordo che abbiamo voluto in funzione anti Stato Islamico

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