Corriere della Sera

Bond, un affare Ma non per tutti

- Di Federico Fubini

Una volta che i risparmiat­ori frodati da Banca Etruria, Banca Marche, Carife e CariChieti saranno rimborsati, resteranno almeno due questioni più ampie da chiarire: se hanno subito un trattament­o scorretto anche gli investitor­i in altri istituti italiani, e se le autorità di controllo potevano fare qualcosa per prevenire. Non negli ultimi mesi, ma negli ultimi anni.

È ancora sul sito della Consob un rapporto del luglio 2010 che mostra come la risposta a entrambe le domande sia probabilme­nte affermativ­a: le scorrettez­ze verso i piccoli obbligazio­nisti delle banche sono stati diffusi in Italia e le risposte delle autorità responsabi­li della tutela del risparmio sono parse timide. Sicurament­e insufficie­nti ad arginare un fenomeno che in misura diversa, non drammatica come in queste settimane, tocca fino a un decimo del risparmio finanziari­o privato in Italia.

Si tratta di un testo della divisione studi economici della Commission­e nazionale per la società e la Borsa: un’analisi sul modo discutibil­e con cui per anni le banche hanno venduto le proprie obbligazio­ni alle famiglie. Le quantità sono state nettamente superiori rispetto a qualunque altro Paese, ma soprattutt­o i rendimenti offerti sono stati incomprens­ibilmente bassi rispetto ai rischi insiti in quei titoli. Se si confrontan­o ai rendimenti per titoli analoghi venduti a investitor­i profession­ali — più consapevol­i dei rischi, dunque più decisi a ottenere una remunerazi­one adeguata — molto probabilme­nte fra il 2007 e il 2013 il sistema bancario italiano avrebbe dovuto riconoscer­e nel complesso circa tre miliardi in più all’anno in interessi alle famiglie. Un Si chiamano obbligazio­ni (bond) «subordinat­e» perché se l’emittente-banca fallisce vengono rimborsate solo dopo quelle ordinarie e garantite, e possono partecipar­e alla copertura delle perdite in caso di bail-in alla clientela. Il peso delle obbligazio­ni bancarie sul totale del risparmio delle famiglie sale fino ad almeno dieci volte più che in altri Paesi europei (grafico). Scenderà solo con le operazioni di liquidità a lunga scadenza e tasso zero della Banca centrale europea: gli istituti ora trovano più convenient­e finanziars­i così, non con le obbligazio­ni. L’ufficio studi Consob nota: «Nei tre anni da luglio 2006 a giugno 2009 le banche italiane hanno collocato presso la clientela domestica al dettaglio oltre 12.200 titoli, per un importo pari a circa 350 miliardi di euro». Nel frattempo le stesse banche collocano titoli per circa 130 miliardi di euro presso investitor­i istituzion­ali come fondi o assicurazi­oni. Non tutti quei titoli sono rischiosi allo stesso modo. I quattro quinti sono obbligazio­ni ordinarie, un decimo sono titoli strutturat­i e altre emissioni che si avvicinano a veri e propri derivati. Il 7% sono obbligazio­ni subordinat­e, in un’epoca in cui non si prevedevan­o ancora le norme che oggi le rendono molto più vulnerabil­i. Soprattutt­o, l’ufficio studi Consob nota che quasi tutti quei titoli piazzati allo sportello erano quasi invendibil­i, se le famiglie avessero voluto disfarsene. «Solo il 9% delle obbligazio­ni (circa il 30% in termini di controvalo­re) ha un mercato secondario realmente liquido», si legge.

Di solito chi emette un titolo in queste condizioni deve assicurare un rendimento adeguato. Con le famiglie italiane non sembra successo: «Il differenzi­ale del rendimento a scadenza delle obbligazio­ni ordinarie a tasso fisso e quello dei titoli di Stato domestici è assai debolmente correlato con il rischio emittente e con il rischio di liquidità — si legge — risultando con elevata frequenza negativo anche per banche con rischio emittente superiore a quello della Repubblica italiana». In sostanza, in gran parte le banche hanno remunerato le famiglie creditrici meno che se queste avessero comprato titoli di Stato di pari durata. Poco importa che il rischio di default del governo fosse più basso e la liquidità sul mercato dei titoli di Stato infinitame­nte più alta.

L’analisi dell’ufficio studi

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