Bond, un affare Ma non per tutti
Una volta che i risparmiatori frodati da Banca Etruria, Banca Marche, Carife e CariChieti saranno rimborsati, resteranno almeno due questioni più ampie da chiarire: se hanno subito un trattamento scorretto anche gli investitori in altri istituti italiani, e se le autorità di controllo potevano fare qualcosa per prevenire. Non negli ultimi mesi, ma negli ultimi anni.
È ancora sul sito della Consob un rapporto del luglio 2010 che mostra come la risposta a entrambe le domande sia probabilmente affermativa: le scorrettezze verso i piccoli obbligazionisti delle banche sono stati diffusi in Italia e le risposte delle autorità responsabili della tutela del risparmio sono parse timide. Sicuramente insufficienti ad arginare un fenomeno che in misura diversa, non drammatica come in queste settimane, tocca fino a un decimo del risparmio finanziario privato in Italia.
Si tratta di un testo della divisione studi economici della Commissione nazionale per la società e la Borsa: un’analisi sul modo discutibile con cui per anni le banche hanno venduto le proprie obbligazioni alle famiglie. Le quantità sono state nettamente superiori rispetto a qualunque altro Paese, ma soprattutto i rendimenti offerti sono stati incomprensibilmente bassi rispetto ai rischi insiti in quei titoli. Se si confrontano ai rendimenti per titoli analoghi venduti a investitori professionali — più consapevoli dei rischi, dunque più decisi a ottenere una remunerazione adeguata — molto probabilmente fra il 2007 e il 2013 il sistema bancario italiano avrebbe dovuto riconoscere nel complesso circa tre miliardi in più all’anno in interessi alle famiglie. Un Si chiamano obbligazioni (bond) «subordinate» perché se l’emittente-banca fallisce vengono rimborsate solo dopo quelle ordinarie e garantite, e possono partecipare alla copertura delle perdite in caso di bail-in alla clientela. Il peso delle obbligazioni bancarie sul totale del risparmio delle famiglie sale fino ad almeno dieci volte più che in altri Paesi europei (grafico). Scenderà solo con le operazioni di liquidità a lunga scadenza e tasso zero della Banca centrale europea: gli istituti ora trovano più conveniente finanziarsi così, non con le obbligazioni. L’ufficio studi Consob nota: «Nei tre anni da luglio 2006 a giugno 2009 le banche italiane hanno collocato presso la clientela domestica al dettaglio oltre 12.200 titoli, per un importo pari a circa 350 miliardi di euro». Nel frattempo le stesse banche collocano titoli per circa 130 miliardi di euro presso investitori istituzionali come fondi o assicurazioni. Non tutti quei titoli sono rischiosi allo stesso modo. I quattro quinti sono obbligazioni ordinarie, un decimo sono titoli strutturati e altre emissioni che si avvicinano a veri e propri derivati. Il 7% sono obbligazioni subordinate, in un’epoca in cui non si prevedevano ancora le norme che oggi le rendono molto più vulnerabili. Soprattutto, l’ufficio studi Consob nota che quasi tutti quei titoli piazzati allo sportello erano quasi invendibili, se le famiglie avessero voluto disfarsene. «Solo il 9% delle obbligazioni (circa il 30% in termini di controvalore) ha un mercato secondario realmente liquido», si legge.
Di solito chi emette un titolo in queste condizioni deve assicurare un rendimento adeguato. Con le famiglie italiane non sembra successo: «Il differenziale del rendimento a scadenza delle obbligazioni ordinarie a tasso fisso e quello dei titoli di Stato domestici è assai debolmente correlato con il rischio emittente e con il rischio di liquidità — si legge — risultando con elevata frequenza negativo anche per banche con rischio emittente superiore a quello della Repubblica italiana». In sostanza, in gran parte le banche hanno remunerato le famiglie creditrici meno che se queste avessero comprato titoli di Stato di pari durata. Poco importa che il rischio di default del governo fosse più basso e la liquidità sul mercato dei titoli di Stato infinitamente più alta.
L’analisi dell’ufficio studi