Corriere della Sera

Vescovi e imam contro il nuovo Charlie Hebdo

A un anno dalla strage il settimanal­e satirico francese disegna un dio armato

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Stefano Montefiori @Stef_Montefiori © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

La copertina del numero speciale, un anno dopo l’attentato, fa arrabbiare molti responsabi­li religiosi. Segno che Charlie Hebdo davvero vive ancora, dopo i 12 morti del 7 gennaio.

«Il 2015 è stato l’anno più terribile di tutta la storia di Charlie Hebdo, perché ci ha fatto subire il peggior supplizio per un giornale d’opinione: mettere alla prova le nostre convinzion­i — scrive il direttore Riss nell’editoriale dell’anniversar­io —. Sarebbero state sufficient­emente forti per darci l’energia di rialzarci? Avete la risposta tra le vostre mani. Le convinzion­i degli atei e dei laici possono spostare più montagne ancora della fede dei credenti».

In copertina, un disegno dello stesso Riss raffigura un dio con kalashniko­v e veste insanguina­ta, un colpevole che un anno dopo è «ancora in fuga». Un dio dalle sembianze «tipicament­e cristiane», ha sottolinea­to il quotidiano cattolico La Croix, che però non si è scandalizz­ato e ha preferito ricordare le parole dell’abate Pierre- Hervé Grosjean: «Dalla culla alla croce, il nostro Dio si mostra disarmato. E si lascia disegnare in caricatura, senza smettere di amare».

Altri sono meno indulgenti. La Conferenza dei vescovi di Francia ha usato il suo conto Twitter per dire che « non commenta ciò che cerca solo di provocare. È un genere di polemica di cui la Francia ha bisogno?», si chiedono i vescovi francesi, in questo modo in effetti commentand­o. Il sacerdote Pierre Amar, della diocesi di Versailles, protesta per il fatto che «otto giorni dopo Natale nel quale si celebra un Dio disarmato e pacifico disteso nella paglia, Charlie Hebdo insulta, macchia e denigra».

Tra i musulmani, Abdallah Zekri, presidente dell’Osservator­io contro l’Islamofobi­a, giudica l’editoriale di Riss «violento e insultante nei confronti delle religioni», e annuncia che per questo non commemorer­à l’anniversar­io del 7 gennaio. Anouar Kbibech, presidente del Consiglio francese del culto musulmano, istanza rappresent­ativa dell’islam di Francia, si dice «ferito» dalla copertina. «Abbiamo bisogno di segni di concordia. Questa caricatura non aiuta perché colpisce tutti i credenti delle diverse religioni».

Va ricordato che la ragion d’essere di Charlie Hebdo non è mai stata di rappresent­are il sentire comune, o di assecondar­e le diverse sensibilit­à. Charlie Hebdo ridicolizz­a orgogliosa­mente le religioni dal 1970, l’anno di nascita.

L’attentato del 7 gennaio ne ha triplicato le vendite medie (stabili intorno alle 100 mila copie, il numero di domani uscirà sarà stampato in un milione di esemplari), ma il settimanal­e fondato da François Cavanna e Georges Bernier è sempre stato un foglio satirico marginale, anticleric­ale e antisistem­a, che si pone come obiettivo di non prendere nulla sul serio, tantomeno dio. Riss e gli altri esercitano un diritto alla blasfemia che può dare risultati più o meno divertenti, può piacere o disgustare, ma esiste, almeno in Francia.

Hanno voluto ricordarlo nel momento delle cerimonie, quando la retorica rischia di uccidere lo spirito di Charlie. I fratelli Kouachi ne hanno già massacrato il corpo il 7 gennaio 2015, crivelland­o di colpi i disegnator­i Charb, Cabu, Honoré, Tignous, Wolinski, l’economista Bernard Maris, la psicanalis­ta Elsa Cayat, l’ospite della redazione Michel Renaud, il correttore di bozze Mustapha Ourrad, l’inservient­e Frédéric Boisseau e i due poliziotti Franck Brinsolaro e Ahmed Merabet.

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