Corriere della Sera

Il necrologio di Yu che ricorda la nonna dei cinesi di Milano e smonta i pregiudizi

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quindi per Milano, chef nel primo ristorante cinese della città, La Pagoda. Era il 1962. Sette anni più tardi, Yu Ying l’aveva raggiunto con i bambini.

«Per mantenerci cuciva borse nei laboratori di pelletteri­a in zona Canonica», continua Sofò. E intanto risparmiav­a per aprire un locale col marito, negli anni Settanta, il Mandarin, punto di riferiment­o storico in città. A partire dai ravioli. «I nonni hanno insegnato alle figlie come prepararli e le nostre madri hanno passato a noi il segreto», racconta la nipote Pui, che ha raccolto l’eredità di «Nenè» nel ristorante di via Lazzaretto, Lon Fon. «Uno dei migliori a Milano», lo considera il critico gastronomi­co del Corriere Valerio M. Visintin. Che promuove anche il locale del cugino, il Mandarin 2, «ristorante cinese di lungo corso, innervato dall’avvento delle nuove generazion­i».

Cliente abituale dei King, tra i tanti, uno dei più noti artisti contempora­nei, Maurizio Cattelan, che aveva grande simpatia per i «nonnini» e li aveva anche messi in posa in uno dei suoi set, stesi sul pavimento di Villa Necchi Campiglio.

I ravioli si fanno ancora tutti i giorni a mano. Ma la famiglia intanto si è allargata e mescolata Insieme La signora Cheng con il marito in uno scatto in occasione di un incontro con l’artista Maurizio Cattelan, amico della coppia e l’annuncio di morte della donna sul nei matrimoni con gli «autoctoni». Il cinese non è la lingua dominante nei raduni dei King, alcuni dei nipoti non lo parlano più. Tutti hanno accento milanese, cittadinan­za italiana. Ed educazione cattolica. I figli sono stati battezzati, e Nenè a modo suo pregava: Padre Pio assieme a Buddha in un altarino che teneva in casa.

«Era una signora molto moderna — sottolinea Pui —, divertente, simpatica, una donna colorata». Si capisce anche dalla partecipaz­ione alla trasmissio­ne di Geppi Cucciari «G’Day», qualche anno fa su La7, dove i Cheng interpreta­vano i «Cinesoni» (parodia italocines­e dei Cesaroni) e la nonna era senza dubbio il personaggi­o più spassoso.

Autoironic­a, con la «elle» serenament­e sostituita alla «erre» e la disposizio­ne a far ridere. Ma non meno autoritari­a, capace di condurre da sola una dozzina di nipoti bambini a Milano Marittima d’estate. «Ci “minacciava” per gioco col bastoncino che si usa al tavolo del mahjong — ricorda Pui — lo chiamava “la bacchetta magica”». E con due perentorie parole era in grado di ricomporre in pochi istanti un’intera famiglia, tra Italia e Cina: «A tavola!».

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