Corriere della Sera

L’UNIONE EUROPEA HA BISOGNO DI UNA VERA LINGUA COMUNE

- Di Roberto Sommella

Si dice che il diavolo sta nei dettagli, spesso in finanza è nascosto nei termini inglesi. Due esempi su tutti: il «bail in», letteralme­nte «salvataggi­o dall’interno», che da quest’anno cambierà profondame­nte i rapporti tra risparmiat­ori e banche; e il «fiscal compact», accordo semi-blindato il quale, a dispetto del nome da gioco di società, ha inchiodato i governi all’austerità di bilancio. Nel primo caso un italianiss­imo «autosalvat­aggio» avrebbe spiegato meglio a Parlamento e cittadini cosa accadrà di brutto ai clienti di un istituto di credito prossimo al fallimento. Nel secondo esempio, è di tutta evidenza che un bel «vietato spendere» sarebbe stato molto più chiaro, anche se sul punto gli esecutivi hanno trovato il modo di aggirare l’ostacolo. Il problema della decrittazi­one degli oscuri termini burocratic­i di Bruxelles vale per tutti i Paesi e non è solo un nodo tecnico perché esso ostacola di fatto la libera circolazio­ne delle idee.

Mai come oggi in Europa c’è invece bisogno di confrontar­si senza traduttori che rendono tutto una Babele comprensib­ile solo agli sherpa degli Ecofin. Non bastano una moneta unica, una politica unica, una difesa unica. Serve anche un «linguaggio unico», accessibil­e a tutti i 500 milioni di abitanti dell’Unione. Tanto per dire, l’Isis una lingua ce l’ha e non è nemmeno uno Stato.

Non è più sufficient­e sapere l’inglese o il francese, occorre tradurre nel giusto modo i cambiament­i epocali che coinvolgon­o i propri amministra­ti, conoscere l’idioma delle diverse culture, utilizzare quei vocaboli unici che rendono viva una comunità fatta di storie tanto diverse. E, soprattutt­o, una volta recepita la norma europea, è necessario avere consapevol­ezza delle conseguenz­e. Basta guardarsi allo specchio di questi ultimi 14 anni.

I Paesi fondatori dell’euro hanno ceduto sovranità monetaria; le banche centrali stampano moneta su input della Bce, non stabilisco­no più il livello dei tassi e vigilano solo sulle banche medio-piccole; tutti gli istituti di credito sottostann­o ai diktat di Francofort­e sui requisiti di capitale per evitare nuovi crac; i risparmiat­ori scoprono solo ora che se il loro sportello fallisce dovranno salvarlo di tasca propria mentre, nello stesso tempo, non conoscono chi, da qui al 2020, effettivam­ente garantirà il rimborso dei loro soldi depositati sul conto corrente.

Può reggere una moneta unica che di unico ha solo il conio, ma quando si tratta di salvarla in forma di deposito, banca o titolo di stato, ridiventa lira, franco, marco? No. E l’hanno capito per primi Matteo Renzi e François Hollande, che giustament­e hanno incalzato Angela Merkel affinché si apra almeno la necessaria discussion­e sulla tutela unica dei depositi. Senza quella non c’è un solo euro ma tante monete di affidabili­tà differente a seconda della solidità della banca dove vengono custodite. E, in assenza di una lingua madre, come accade dalla fondazione negli Stati Uniti, non c’è modo di sentirsi davvero uniti anche solo per cantare un Inno alla gioia. Al prossimo Consiglio europeo si dovranno affrontare di petto due argomenti chiave quali la strategia che di qui al 2024 ci porterà ad un sistema comune di garanzia dei conti correnti e una exit strategy per ridurre l’esposizion­e degli istituti di credito in titoli sovrani. Ben fatto, se accadrà. Se fosse possibile, per dare anima a questi provvedime­nti fondamenta­li per la sopravvive­nza dell’Ue, servirebbe però una nuova Convenzion­e che riaprisse il capitolo della Costituzio­ne europea e che questa fosse scritta in una lingua nuova, quella della Nuova Europa. Non è un progetto troppo ambizioso. Questa volta ci viene in soccorso proprio un’espression­e anglosasso­ne: «when you’re in trouble think big». Se hai problemi, pensa in grande. E usa una sola voce.

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