Il passato e il futuro dei libri, un doppio monito dalla Sicilia
Un catalogo su Siracusa edito da Viella e il «racconto lungo» di Antonio Manzini (Sellerio)
Sono usciti in questi giorni due libri fra loro molto diversi e pure legati dal medesimo imperativo morale: la difesa del libro, della sua qualità, della sua individualità. Un altro elemento, non del tutto esteriore, che li connette, è che sono sorti entrambi in Sicilia.
Il primo è il prezioso e ben redatto catalogo degli Incunaboli a Siracusa, cioè di quei tesori librari che sono conservati nelle biblioteche di Siracusa e provincia (Avola, Lentini, Noto, Palazzolo Acreide, Sortino e ovviamente Siracusa: Viella editore). L’opera è stata diretta da un competente di primo piano quale Marco Palma, affiancato nell’impresa da Salvatrice Terranova, Rosalia Giordano e altri.
Un catalogo del genere, oltre ad avere un valore intrinseco, è pur sempre un baluardo contro quelle singolari figure di bibliofili che, visitando preziose biblioteche provinciali, a tal punto si invaghiscono dei libri che vi trovano da farli scomparire. Conosciamo episodi napoletani gravissimi: un catalogo ben fatto e analitico costituisce una forma di tutela, oltre che una guida nel caso i benemeriti nuclei della «fedelissima» incaricati di salvaguardare il patrimonio culturale del Paese dovessero mettersi un domani alla ricerca di qualche pezzo scomparso.
Il secondo volume del quale si diceva in principio è un «racconto lungo», di appena 115 paginette, apparso nell’elegante collana selleriana «Il divano»: Sull’orlo del precipizio di Antonio Manzini. Che questo libro sia stato messo in circolazione da uno di quegli editori che, con la loro stessa esistenza — e potremmo chiamarla resistenza — difendono la libertà, è di per sé significativo.
Si tratta di un racconto amaro, sferzante e geniale, che anticipa con piglio futurologico (penso al Tallone di ferro di Jack London) gli effetti ormai prevedibili della concentrazione monopolistica editoriale, in atto in Italia in modo più vistoso che nel restante mondo civilizzato.
Di tale nefasto processo monopolistico il Manzini mette in luce gli effetti di involgarimento e di distruzione progressiva della individualità mentale e fisica degli autori: un processo che vede salire alla ribalta non più solo delle decisioni editoriali, ma ormai direttamente della scrittura, figure repugnanti di manager arroganti, incolti e alquanto belluini in quanto votati unicamente al profitto. Per costoro, l’autore è «un codice-prodotto come la Nutella Ferrero» e il «prodotto», cioè il libro, è a sua volta «supporto cartaceo della comunicazione». L’editoria indipendente è il loro nemico e i modi per distruggerla sono parte essenziale del loro lavoro quotidiano. Non sveleremo la trama e l’epilogo di questo appassionante racconto: ricordiamo che l’autore è anche creatore di polizieschi incentrati sulla riuscitissima figura del poliziotto romanesco Schiavone trasferito in punizione ad Aosta.
La domanda che campeggia è dunque la seguente: il «codice-prodotto» ha già soppiantato il libro? Una parte non piccola della macchina culturale lavora ormai in questa direzione.