Corriere della Sera

L’amore impossibil­e di Alda Merini nel manicomio

- Di Emilia Costantini

Lesbarre dividono il mondo dei sani da quello dei pazzi. Una luce cupa si spande in uno spazio tetro, animato solo dalle smanie scomposte, dalle imprecazio­ni di chi sopravvive nella malattia mentale: pazienti, medici e infermieri. Siamo nel manicomio che ospita Alda Merini, la poetessa che trascorre, dietro quelle sbarre, buona parte della sua vita. «La pazza della porta accanto» di Claudio Fava (al Teatro Bonci di Cesena dal 21 gennaio, al Rossetti di Trieste dal 27 gennaio) è un nonspettac­olo: c’è poco da spettacola­rizzare nelle sofferenze di chi, prima della legge Basaglia, veniva «curato» con gli elettrosho­ck, nell’acqua gelata o nei letti di contenzion­e. Una messinscen­a priva di orpelli quella di Alessandro Gassmann, che non indulge a scontati pietismi, ma denuncia il calvario di una donna che venne allontanat­a dalla sua famiglia e internata tra le mura spettrali di ospedali psichiatri­ci. Anna Foglietta assume, con grinta inconsueta, il ruolo della protagonis­ta in una dimensione scenica corale: con lei tutte le altre internate compongono un mosaico di dolore senza scampo. Donne che corrono coi lupi, sconce, selvagge, aggressive, private della dignità. Donne neglette che scontano una condanna senza colpe. E in quella bolgia infernale sboccia un amore, quello impossibil­e di Alda per un altro pazzo, Pierre, e persino un figlio. Non c’è speranza né per l’amore, né per il figlio. Quando le sbarre si apriranno e i morti viventi torneranno tra i vivi, la poetessa degli ultimi vorrà solo rinchiuder­si nello spazio ancor più ristretto della sua poesia. Il non-spettacolo si conclude nell’amarezza di un’ingiustizi­a subita che non riabilita nessuno, né vittime, né carnefici.

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Sul palco Anna Foglietta nei panni di Alda Merini

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