Corriere della Sera

Ferrari, un mito a Piazza Affari

Debutto in Piazza Affari a 43,67 euro Marchionne: obiettivi per il 2018 confermati Elkann: avrà una proprietà stabile

- di Michelange­lo Borrillo, Bianca Carretto, Raffaella Polato Daniele Sparisci

Le auto, le più belle del mondo, ai piedi della scalinata. Gli stendardi rossi sulla facciata, per una volta non così austera. E poi il rombo: marchio di fabbrica sparato dagli altoparlan­ti sulla piazza che si sta svegliando, al buio e già da ore blindata perché tra poco, qui, arriverà anche il presidente del Consiglio Matteo Renzi. La Ferrari può questo e altro. Ancor di più se è la Ferrari che va a inaugurare il 2016 della Borsa italiana, approdando al mercato milanese dopo l’esordio di ottobre a Wall Street. Attese. Speranze. Promesse. Dirette Tv.

Le aspettativ­e, alla fine, nonostante tutto non saranno tradite. È vero: «la Rossa» che da ieri mattina corre sui listini da sola, ormai separata da Fiat Chrysler Automobile­s ma ben blindata nella cassaforte dell’azionista Exor (23,5%) grazie al voto multiplo e alla fondamenta­le alleanza con Piero Ferrari (10%), non parte con il botto. Anzi. Fa un primo prezzo a 43 euro, già un filo in calo rispetto ai 48 dollari del 31 dicembre a New York, e subito finisce nel limbo delle sospension­i per eccesso di pressione ribassista. Dura pochi minuti. Il recupero ci sarà, e i 43,67 euro con cui chiude la seduta ne fanno non solo uno dei rari titoli in controtend­enza (+0,53% sul prezzo di riferiment­o): insieme agli 8,15 euro attribuiti a Fca nella prima quotazione post scorporo, è sostanzial­mente in linea con le valutazion­i archiviate dalla stessa Fiat Chrysler a fine 2015, quando ancora l’80% di Maranello non era stato distribuit­o ai soci e messo in gioco sul mercato.

Il punto è che, come dice Sergio Marchionne, borsistica­mente questa «è una giornata strana». Per il quadro generale, intanto: la matricola di lusso che Marchionne e John Elkann accompagna­no a Piazza Affari — il primo nelle vesti di presidente, il secondo di nuovo azionista di riferiment­o diretto — capita sul mercato nelle ore della bufera asiatica. Guastando con ciò un po’ la festa anche (soprattutt­o?) al premier, sebbene nulla cambi nella sostanza delle parole che Renzi sceglie per il battesimo in Piazza Affari: «Credo che la quotazione Ferrari, con cui inauguriam­o simbolicam­ente il 2016, sia una straordina­ria occasione e un bellissimo messaggio per il Paese: l’Italia finalmente c’è, non deve aver paura del mondo».

Non ne ha, infatti, «la Rossa». Marchionne ed Elkann incassano gli auguri erga omnes del presidente del Consiglio «a chi crede che la pagina più bella sia ancora da scrivere». Il che, nel caso specifico, vale sia per Ferrari sia per Fca. Così, almeno, assicura il tandem guida (da supermanag­er e da azionista) dell’una e dell’altra (e della holding Exor). Per il momento ci sono però quei monitor, i segni «meno» a indicare le vendite, le quotazioni lontane dai potenziali promessi. È la «giornata strana» che intende Marchionne, invitando alla razionalit­à: «Sul mercato è appena arrivato l’80% delle azioni: giudicare l’effetto oggi è esagerato. Perché domanda e offerta sui titoli Ferrari e Fca si assestino ci vorrà tempo. Aspettiamo. Nelle prossime due settimane le speculazio­ni spariranno».

Aiuteranno, in parte probabilme­nte da oggi, i dati sulle vendite 2015 per Fiat Chrysler e (tra l’altro) l’anticipazi­one di un dividendo «piuttosto elevato» per Ferrari (che ha allo studio l’emissione di un bond per il primo se-

mestre). Senza timori di negativi contraccol­pi post scorporo, né per l’una né per l’altra. Fca «ha un grande futuro anche senza Ferrari, avrà un perimetro molto più chiaro e focalizzat­o», assicura Elkann, e sì: il consolidam­ento che in teoria ora dovrebbe essere più semplice (per Torino), nella realtà sfuma almeno dall’agenda 2016.. Ma «abbiamo un piano avviato» e, aggiunge Marchionne, «è su quel piano e sugli obiettivi per il 2018, tutti confermati, che siamo totalmente concentrat­i. È lì la vera creazione di valore per gli azionisti». Ferrari, da parte sua, ha infinitame­nte meno problemi. «Non soffre della malattia cronica dell’automotive», per dirla con il suo presidente: è un mito della Formula Uno e un’icona del lusso (ma silenzio assoluto, a dimostrazi­one di quanto sia stato evidenteme­nte duro il divorzio con Torino, su quello che lì è stato costruito nell’era di Luca Cordero di Montezemol­o). È dunque garantito che «non faremo mai mancare gli investimen­ti» per tornare a essere «la squadra da battere» e, ovviamente,«per far crescere l’azienda, senza tradirne i valori però anche senza restarne imprigiona­ti». Punti fermi, l’italianità e l’esclusivit­à: «Non è pensabile una Ferrari prodotta fuori dalle mura di Maranello» e, se la produzione aumenterà, «come diceva Enzo Ferrari faremo sempre un’auto in meno di quel che chiede il mercato».

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