Ferrari, un mito a Piazza Affari
Debutto in Piazza Affari a 43,67 euro Marchionne: obiettivi per il 2018 confermati Elkann: avrà una proprietà stabile
Le auto, le più belle del mondo, ai piedi della scalinata. Gli stendardi rossi sulla facciata, per una volta non così austera. E poi il rombo: marchio di fabbrica sparato dagli altoparlanti sulla piazza che si sta svegliando, al buio e già da ore blindata perché tra poco, qui, arriverà anche il presidente del Consiglio Matteo Renzi. La Ferrari può questo e altro. Ancor di più se è la Ferrari che va a inaugurare il 2016 della Borsa italiana, approdando al mercato milanese dopo l’esordio di ottobre a Wall Street. Attese. Speranze. Promesse. Dirette Tv.
Le aspettative, alla fine, nonostante tutto non saranno tradite. È vero: «la Rossa» che da ieri mattina corre sui listini da sola, ormai separata da Fiat Chrysler Automobiles ma ben blindata nella cassaforte dell’azionista Exor (23,5%) grazie al voto multiplo e alla fondamentale alleanza con Piero Ferrari (10%), non parte con il botto. Anzi. Fa un primo prezzo a 43 euro, già un filo in calo rispetto ai 48 dollari del 31 dicembre a New York, e subito finisce nel limbo delle sospensioni per eccesso di pressione ribassista. Dura pochi minuti. Il recupero ci sarà, e i 43,67 euro con cui chiude la seduta ne fanno non solo uno dei rari titoli in controtendenza (+0,53% sul prezzo di riferimento): insieme agli 8,15 euro attribuiti a Fca nella prima quotazione post scorporo, è sostanzialmente in linea con le valutazioni archiviate dalla stessa Fiat Chrysler a fine 2015, quando ancora l’80% di Maranello non era stato distribuito ai soci e messo in gioco sul mercato.
Il punto è che, come dice Sergio Marchionne, borsisticamente questa «è una giornata strana». Per il quadro generale, intanto: la matricola di lusso che Marchionne e John Elkann accompagnano a Piazza Affari — il primo nelle vesti di presidente, il secondo di nuovo azionista di riferimento diretto — capita sul mercato nelle ore della bufera asiatica. Guastando con ciò un po’ la festa anche (soprattutto?) al premier, sebbene nulla cambi nella sostanza delle parole che Renzi sceglie per il battesimo in Piazza Affari: «Credo che la quotazione Ferrari, con cui inauguriamo simbolicamente il 2016, sia una straordinaria occasione e un bellissimo messaggio per il Paese: l’Italia finalmente c’è, non deve aver paura del mondo».
Non ne ha, infatti, «la Rossa». Marchionne ed Elkann incassano gli auguri erga omnes del presidente del Consiglio «a chi crede che la pagina più bella sia ancora da scrivere». Il che, nel caso specifico, vale sia per Ferrari sia per Fca. Così, almeno, assicura il tandem guida (da supermanager e da azionista) dell’una e dell’altra (e della holding Exor). Per il momento ci sono però quei monitor, i segni «meno» a indicare le vendite, le quotazioni lontane dai potenziali promessi. È la «giornata strana» che intende Marchionne, invitando alla razionalità: «Sul mercato è appena arrivato l’80% delle azioni: giudicare l’effetto oggi è esagerato. Perché domanda e offerta sui titoli Ferrari e Fca si assestino ci vorrà tempo. Aspettiamo. Nelle prossime due settimane le speculazioni spariranno».
Aiuteranno, in parte probabilmente da oggi, i dati sulle vendite 2015 per Fiat Chrysler e (tra l’altro) l’anticipazione di un dividendo «piuttosto elevato» per Ferrari (che ha allo studio l’emissione di un bond per il primo se-
mestre). Senza timori di negativi contraccolpi post scorporo, né per l’una né per l’altra. Fca «ha un grande futuro anche senza Ferrari, avrà un perimetro molto più chiaro e focalizzato», assicura Elkann, e sì: il consolidamento che in teoria ora dovrebbe essere più semplice (per Torino), nella realtà sfuma almeno dall’agenda 2016.. Ma «abbiamo un piano avviato» e, aggiunge Marchionne, «è su quel piano e sugli obiettivi per il 2018, tutti confermati, che siamo totalmente concentrati. È lì la vera creazione di valore per gli azionisti». Ferrari, da parte sua, ha infinitamente meno problemi. «Non soffre della malattia cronica dell’automotive», per dirla con il suo presidente: è un mito della Formula Uno e un’icona del lusso (ma silenzio assoluto, a dimostrazione di quanto sia stato evidentemente duro il divorzio con Torino, su quello che lì è stato costruito nell’era di Luca Cordero di Montezemolo). È dunque garantito che «non faremo mai mancare gli investimenti» per tornare a essere «la squadra da battere» e, ovviamente,«per far crescere l’azienda, senza tradirne i valori però anche senza restarne imprigionati». Punti fermi, l’italianità e l’esclusività: «Non è pensabile una Ferrari prodotta fuori dalle mura di Maranello» e, se la produzione aumenterà, «come diceva Enzo Ferrari faremo sempre un’auto in meno di quel che chiede il mercato».