Divorzio e pregiudizio
Le donne in carriera si separano di più di quelle che stanno a casa a badare alla famiglia? Se avete risposto sì, ricredetevi. Perché il lavoro femminile non è nemico della coppia. Anzi
Provate a rispondere a questa domanda, senza pensarci troppo su: le donne in carriera divorziano di più e più facilmente di quelle che stanno a casa a badare alla famiglia? Se siete di parola e andate d’istinto, la vostra risposta sarà perlopiù sì, trascinati anche voi negli inganni di quella che è la cosiddetta vulgata prevalente, quella che gli americani chiamano Conventional Wisdom (CW) e che rappresenta la summa delle convinzioni ricevute e non messe in discussione se non grazie a qualche piccolo choc: nel Medio evo per esempio la CW riteneva che la terra fosse piatta.
I pregiudizi si sa sono duri a svanire ma ora arriva un piccolo scossone a scardinare questa certezza graniticamente impressa nelle menti riguardo alle donne in carriera: una ricerca condotta da due professori, Andrew F. Newman e Claudia Olivetti, brillanti docenti bostoniani, il primo all’Università, la seconda al Boston College, ribalta lo stereotipo troppo automatico: donne in carriera non vuole più dire divorzio facile, dunque. Dopo aver esaminato negli ultimi vent’anni le vicissitudini matrimoniali delle donne che lavorano, i due ricercatori giungono alla conclusione che se si guardano i dati globali — non separando quelli delle donne che lavorano per bisogno e per sostenere la famiglia da quelli delle donne in carriera — si potrebbe essere tratti in inganno, e concludere che i divorzi non diminuiscono; mentre se si tiene conto solo delle seconde, le donne in carriera, ebbene è chiaro che non sono più sfasciafamiglie, anzi. E tutto ciò non necessariamente avviene perché questi matrimoni siano più felici o senza ostacoli, anche queste coppie devono affrontare le curve a gomito della vita come tutte le altre, ma sanno superarle con maggior pragmatismo, non solo perché armate di sano cinismo ma anche perché aiutate da quei doppi stipendi che se non evitano le divergenze, perlomeno aiutano a pilotarle con meno stress. «Quando marito e moglie lavorano — scrivono i due autori — entrambi hanno i mezzi per risolvere quei piccoli problemi quotidiani (baby sitter, aiuti per la casa, trasporti a scuola) che rendono confortevole la vita ed evitano inutili frizioni, e che compensano altre vicissitudini e disillusioni della vita a due». Anche qui i soldi non risolvono la vita, ma aiutano.
E d’altra parte se ci fermiamo un momento a rifletterci su — adesso ne abbiamo facoltà — troviamo subito molti indizi e molte storie di vita che anticipavano la ricerca, e smentivano i codici convenzionali così duri a morire. Prendete per esempio le coppie formate da donne di successo, modelli per molte altre nel mondo, come Sheryl Sandberg, Ceo di Facebook e autrice del libro «Lean in, Facciamoci avanti», che ha ispirato molte ragazze che lavorano; o come AnneMarie Slaughter, brillante avvocatessa, docente e politica. La prima aveva impostato con il marito David Goldberg una coppia flessibile e solidale ma purtroppo non hanno avuto abbastanza tempo terreno perché lui con gran dolore di lei è morto in un incidente a 47 anni: «Era la mia roccia» ha scritto Sheryl in un lungo post funebre, molto condiviso su Facebook. La seconda, al culmine del successo aveva addirittura lasciato con gran clamore una posizione di prestigio come quella di braccio destro di Hillary Clinton al Dipartimento di Stato e in un articolo su The Atlantic aveva spiegato come avesse negoziato la faccenda con il marito Andrew Moravcsik, professore a Princeton, e ora gira il mondo a fare conferenze sulla sua scelta controcorrente anche rispetto ai nuovi codici.
Situazioni privilegiate, nonostante tutto, quelle di matrimoni così? Casi isolati di donne di potere oltre che in carriera, si potrebbe obiettare. E invece no o perlomeno non solo. Perché sono le coppie progettuali — individuate da una ricerca di Galena K. Rhoades, psicologa dell’università di Denver che con il collega Scott M. Stanley ha studiato i nuovi matrimoni — quelle che hanno più filo da tessere in una relazione nei complessi anni Duemila. Secondo i due psicologi queste coppie hanno un quid in più, un X Factor che le rende più attrezzate alla contrattazione, alla trattativa illuminata che permette a un matrimonio di resistere meglio. «Quando prendi una decisione fortemente motivata, discussa
e negoziata, è più probabile che la mantieni», scrive Rhoades. E il cinema, che talvolta non riflette so lola saggezza convenzionale, aveva individuato questo ribaltamento con un film alfiere dell’ an ti pregiudizio ,« Ma come fa a far tutto?», presentato nel 2011 in anteprima italiana proprio dal blog del Corriere La 27ora, e che metteva in scena una mamma in carriera, Sarah Jessica Parker, capace di conciliare, non senza difficoltà, matrimonio, figli e lavoro.
E molte ormai sono le coppie solidali e dal divorzio difficile anche nel mondo delle celebrities che nel passato era famoso per divorziare con la stessa leggerezza di sentimenti con cui beveva una coppa di champagne. Oggi invece Victoria e David Beckham durano da 16 anni, e Brad Pitt e Angelina Jolie vigilano su una tribù di sette figli, fra naturali e adottivi.
Nella coppia oggi non vince chi ama di più ma chi sa negoziare, gestire il conflitto, andare oltre i problemi alla maniera degli Obama che, almeno visti dal di fuori, appaiono entrambi campioni nella capacità di eloquio, di dialogo e di convinzione, piuttosto che nella lite o nella prevaricazione.
Esempi Sheryl Sandberg, ceo di Facebook, e il marito sono stati un esempio di flessibilità e solidarietà. Il caso di Anne Marie Slaughter