Corriere della Sera

«Mai violenza in nome di Dio»

L’abbraccio del Papa al Rabbino capo. Francesco: voi sorelle e fratelli maggiori

- Conti, Vecchi

Alla Sinagoga di Roma l’abbraccio tra Francesco e il Rabbino capo Riccardo Di Segni. Le due autorità religiose si ritrovano unite nelle parole del Papa: «La violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddiz­ione con ogni religione degna di questo nome».

Arriva senza cortei, dal Lungotever­e la Ford Focus blu s’infila discreta nel ghetto. La Sinagoga è isolata e controllat­a da ottocento agenti, ma Francesco ha chiesto di avvicinare più persone possibile. Così la terza visita di un Papa al Tempio maggiore — dopo la sosta davanti alle lapidi che ricordano il rastrellam­ento nazista del 16 ottobre ‘43 e Stefano Gaj Taché, il bimbo ucciso dai terroristi palestines­i nell’attentato del 9 ottobre 1982 — inizia come non si era mai visto né la prima volta di Wojtyla, nell’86, né con Benedetto XVI sei anni fa: dopo l’abbraccio sulla soglia col Rabbino capo Riccardo Di Segni, Francesco entra in Sinagoga tra gli applausi e per una ventina di minuti va avanti e indietro tra i banchi per salutare e stringere mani, fino ad abbracciar­e e baciare sulle guance i sopravviss­uti ai campi di sterminio.

Sono passati cinquant’anni dalla Dichiarazi­one conciliare Nostra Aetate che segnò la svolta nel rapporto tra cattolici ed ebrei. Di Segni ricorda che secondo la tradizione rabbinica «un atto ripetuto tre volte diventa chazaqà, consuetudi­ne fissa». Guarda il Papa: «È decisament­e il segno concreto di una nuova era dopo tutto quanto è successo nel passato». E Francesco annuisce assorto mentre il rabbino gli dice: «Interpreti­amo tutto questo nel senso che la Chiesa cattolica non intende tornare indietro nel percorso di riconcilia­zione».

Difatti le parole del Papa segnano un punto di non ritorno, tanto più importante tra i «conflitti, guerre, violenze ed ingiustizi­e» del presente: «La violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddiz­ione con ogni religione degna di questo nome, e in particolar­e con le tre grandi religioni monoteisti­che. Dio è il Dio della vita». Francesco parla dello sterminio di sei milioni di ebrei durante la Shoah e ricorda «col cuore» i 1.021 deportati romani, «il passato ci deve servire da lezione per il presente e il futuro». Cita «la bella espression­e “fratelli maggiori”» di Wojtyla e va oltre: «Voi siete i nostri fratelli e sorelle maggiori nella fede». Richiama la Nostra Aetate: «Sì alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianes­imo, no ad ogni forma di antisemiti­smo». Spiega che «tutti appartenia­mo a un’unica famiglia» e «Dio ha per noi progetti di salvezza». Sillaba: «I cristiani non possono non fare riferiment­o alle radici ebraiche e la Chiesa, pur professand­o la salvezza attraverso la fede in Cristo, riconosce l’irrevocabi­lità dell’Antica Alleanza e l’amore costante e fedele di Dio per Israele». Continua ad annuire mentre la presidente della comunità, Ruth Dureghello, cita le parole di Bergoglio al presidente del World Jewish Congress («anche un attacco deliberato ad Israele è antisemiti­smo»), ripete che «l’antisionis­mo è la forma più moderna di antisemiti­smo» e dice: «La pace non si conquista seminando il terrore con i coltelli in mano».

All’uscita, dal coro si leva Ani Maamin, «io credo», il canto che intonavano gli ebrei diretti alle camere a gas.

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Insieme Papa Francesco e, di spalle, il Rabbino capo Di Segni

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