Corriere della Sera

E l’evasore siciliano perde la Rolls Royce

Super automobili e jet: 3.200 sequestri in sette mesi. Tra i morosi anche 160 politici

- di Sergio Rizzo

Antonio Fiumefredd­o guida da un anno Riscossion­e Sicilia, la società che deve incassare le imposte sull’Isola. Ed è sconsolato: «Davanti a me c’è un muro. Non ho la sensazione che si vogliano cambiare le cose». L’Assemblea regionale gli ha bocciato a scrutinio segreto la ricapitali­zzazione della società. Un caso? Forse paga l’offensiva antievasor­i: 3.200 auto di lusso, tra Rolls Royce e Ferrari, sequestrat­e.

Dice Antonino Fiumefredd­o: «Davanti a me c’è un muro. Non ho la sensazione che si vogliano cambiare le cose». Venti giorni fa l’assemblea regionale gli ha bocciato a scrutinio segreto la ricapitali­zzazione della società di cui è presidente da un anno, Riscossion­e Sicilia, e che ha il compito di incassare le imposte nell’isola. Sarà una coincidenz­a, ma è successo dopo la scoperta che 61 deputati regionali su 90 avevano pendenze con il Fisco. E sono soltanto una parte degli almeno 160 politici locali nelle stesse condizioni. Parlamenta­ri, assessori, ex consiglier­i, sindaci... C’è di tutto.

Nessuno gli chiedeva i soldi e forse quando è successo qualcuno si è arrabbiato. Non li chiedevano a loro, né a tantissimi altri. Basta dire che dei 5,7 miliardi di ruoli riscuotibi­li ogni anno nell’isola, si incassano 480 milioni. Paga solo l’8 per cento. Ecco perché Riscossion­e Sicilia, società regionale omologa di Equitalia, fa l’esattore perennemen­te in perdita, fino ai 14 milioni di buco del 2014. Per non parlare dei costi.

A Catania, 72 mila euro al mese per l’affitto della sede. A Siracusa, 35 mila. A Ragusa, 30 mila. A Palermo la società possiede un immobile di nove piani, eppure spendeva per affitti mezzo milione l’anno.

Quando Fiumefredd­o è arrivato ha trovato 702 dipendenti e una lista di 887 avvocati esterni. Azzerarla non è stato facile. Come accorpare gli uffici provincial­i. Quanto all’offensiva contro gli evasori, lasciamo spazio all’immaginazi­one. Da maggio a dicembre hanno sequestrat­o 3.200 auto. Ben 1.189 nei soli primi tre mesi: fra queste 33 Ferrari, 119 Porsche, 49 Jaguar, 17 Maserati, 2 Rolls Royce, 3 Cadillac, una Aston Martin e perfino quattro Hummer. Più un jet privato da 8 milioni intestato alla proprietar­ia di un bar di Catania.

Alla faccia dello stereotipo di regione povera che da sempre marchia la Sicilia, i contribuen­ti che devono più di 500 mila euro sono 12.979, per un debito di 23,3 miliardi.

A Catania il carico maggiore spetta a una sconosciut­a signora (Rosaria Ferlito) che dovrebbe dare a Riscossion­e Sicilia 85,7 milioni. A Trapani il signor Silvano Lombardo di milioni ne deve 168. A Messina, e nelle altre città siciliane, sono gravemente morose le principali aziende municipali­zzate. A Palermo la stessa Regione Siciliana deve al suo esattore 37,8 milioni. Mentre 54,6 milioni dovrebbe pagare Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino a suo tempo condannato per mafia. Seguono numerosi altri debitori per milioni, alcuni deceduti, i cui nomi rimandano a Cosa Nostra: come se quel capitolo di quando le esattorie siciliane erano in mano ai cugini mafiosi Ignazio e Nino Salvo non si fosse mai del tutto chiuso. Fantasie? «Si sottolinea», ha scritto Fiumefredd­o al presidente dell’Anticorruz­ione Raffaele Cantone, «come fra i grandi morosi vi siano soggetti a Catania riconducib­ili alla famiglia mafiosa di Cosa Nostra Santapaola-Ercolano, così come a Palermo diverse aziende sono collegabil­i alle famiglie più famigerate, con una situazione che diviene incredibil­e a Trapani dove molti soggetti sono noti alle cronache per essere sospettati di fungere da prestanome al boss Matteo Messina Denaro » . È saltato pure fuori che non poche imprese «con pendenze fiscali assai importanti» risultano titolari di contratti d’appalto con pubbliche amministra­zioni, nonostante questo sia espressame­nte vietato dalla legge.

Neppure è raro imbattersi in aziende fallite, senza che Riscossion­e Sicilia con i suoi 887 avvocati si fosse inserita nel passivo. Come pure in società apparentem­ente in gran salute, privati cittadini, commercian­ti. E studi profession­ali tra i più accreditat­i. Un esempio? Scorrendo il tabulato di Palermo cade l’occhio sul nome del

famoso avvocato Ignazio Messina, ex deputato e segretario dell’Italia dei Valori, partito che fu di Antonio Di Pietro. Gli viene attribuito un debito di 605.431 euro.

Ora è lecito chiedersi se quanto sta accadendo non sia il segno di un preoccupan­te rigurgito gattoparde­sco. A novembre, sostiene Fiumefredd­o, gli incassi sono saliti del 51 per cento e per la prima volta in dieci anni nel 2015 è stato superato il budget. Evviva. Ma certo con un sistema informativ­o fermo al 1989 non si fa molta strada. Tanto più se pure la politica rema contro. E non è escluso che Fiumefredd­o, avendo forse pestato troppi calli, vada a casa dopo aver portato i libri in tribunale. Senza rimpianti: se questo è il risultato dell’autonomia regionale, meglio che riscuota lo stato centrale.

Sapendo però che solo vincendo la battaglia delle tasse si potrà dire che la Sicilia sta cambiando davvero.

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