Corriere della Sera

I 4 anni di scontri fra l’Etruria e Bankitalia

Lo stop di Palazzo Koch alle nomine indicate dai faccendier­i, i rilievi della Vigilanza ignorati ad Arezzo Così si sono deteriorat­i i rapporti tra Via Nazionale e l’istituto. Adesso sono in arrivo nuove sanzioni

- Di Fabrizio Caccia e Mario Gerevini

Il tentativo di portare il manager Fabio Arpe alla guida operativa di Banca Etruria, nell’estate 2014, nome suggerito dal faccendier­e Flavio Carboni e portato avanti dal presidente Rosi e dal vicepresid­ente Boschi, è solo l’ultimo episodio. Tra Etruria e Bankitalia i rapporti sono tesi da almeno quattro anni. Talvolta si è trattato di una partita a scacchi, altre volte la tensione è sfociata in scontro aperto. Di fatto dopo l’ispezione del settembre 2013 la banca è stata «commissari­ata dall’esterno».

MILANO La mossa era piuttosto azzardata, quasi temeraria. Portare il manager Fabio Arpe alla guida operativa di Banca Etruria. Estate 2014, il nome del potenziale futuro direttore generale uscì dalla bocca di Flavio Carboni e venne portato avanti dal presidente dell’Etruria, Lorenzo Rosi, e dal vicepresid­ente Pier Luigi Boschi. «Ma non ci fu mai proposto in consiglio di amministra­zione», afferma uno degli amministra­tori in carica al tempo. Infatti la candidatur­a non fece molta strada (dg sarà nominato ad agosto 2014 Daniele Cabiati), giusto il tragitto, informale, verso Banca d’Italia, tanto per capire che aria tirava. Aria pessima. Boschi e Rosi innestaron­o la retromarci­a e il nome fu ritirato. Ma fece in tempo a uscire sui giornali tanto che fu scritto che il cda dell’Etruria appariva diviso sulla scelta del direttore generale. L’episodio non favorì la relazione ormai di reciproco sospetto tra l’Etruria, già in caduta libera, e la banca centrale di Roma.

Le spinte per la fusione

Rapporti tesi da anni. Talvolta una partita a scacchi, altre volte uno scontro aperto. Bankitalia si è sempre espressa nei binari istituzion­ali dei suoi atti, via via più incalzanti ed eloquenti. Il verbale dell’ispezione conclusa nel settembre 2013 avvia, di fatto, il «commissari­amento esterno»: l’Etruria continua a scegliersi gli amministra­tori ma Bankitalia indica la strada. E ne esiste una sola: l’aggregazio­ne. Già nel 2012 gli uomini del governator­e Ignazio Visco avevano rilevato serie anomalie nella gestione. Le ispezioni del 2012-2013 hanno due conseguenz­e concrete: l’avvio delle prime inchieste penali della Procura di Arezzo e sanzioni per 2,54 milioni ai vertici. In quelle carte si ritrovano tutti gli atti di accusa alla base del commissari­amento e anche delle nuove indagini penali: violazione sulla governance, «carenze nei controlli interni», «omesse segnalazio­ni alla Vigilanza», «violazioni in materia di trasparenz­a». Ce n’era abbastanza per far piazza pulita di chi aveva gestito la banca e favorito un sistema clientelar­e di erogazione del credito.

Buonuscite milionarie

Ma è a questo punto che comincia la partita a scacchi. Infatti Palazzo Koch avrebbe voluto fin dal 2012 un ricambio sostanzial­e nel board e un cambio di passo deciso, non con «interventi parziali e talvolta dilatori», nell’affrontare l’allarmante debolezza patrimonia­le. Invece gli amministra­tori restano pressoché gli stessi e affrontano il «cancro» delle sofferenze fuori controllo (arriverann­o, solo le sofferenze, a 2 miliardi) con l’aspirina di aumenti di capitale inadeguati e l’emissione di obbligazio­ni subordinat­e. È vero che i due grandi «nemici» di Bankitalia, l’ex presidente Giuseppe Fornasari e l’ex direttore generale Luca Bronchi, vengono fatti fuori. Ma questo succede soltanto ad aprile 2014 per Fornasari e due mesi dopo per Bronchi (per di più con una buonuscita milionaria). Giova ricordare che nel frattempo i crediti cattivi stavano tranquilla­mente veleggiand­o verso i 3 miliardi, cioè il 40% degli impieghi, record assoluto per il sistema bancario italiano.

E il nuovo che avanza? Si chiamava Lorenzo Rosi (presidente) e Pier Luigi Boschi (vicepresid­ente), papà del ministro Maria Elena, presenti in consiglio rispettiva­mente dal 2008 e dal 2011. Non certo il segnale di rinnovamen­to che Bankitalia chiedeva visto che entrambi erano tra i sanzionati. La resistenza dei poteri locali, «il territorio» come talvolta vengono chiamati, è l’alibi per interrompe­re le trattive di fusione con la Popolare di Vicenza, sponsorizz­ata da Via Nazionale. Forse quella fusione non sarebbe andata lontano, forse c’era di meglio in attesa (Popolare Emilia?) ma sta di fatto che l’Etruria è di nuovo sola, col suo carico ingestibil­e di sofferenze, i soliti uomini al comando e sempre più in rotta di collisione con Bankitalia.

Il ruolo di Carboni

È a questo punto che servirebbe una scossa managerial­e di alto livello, un salto di qualità immediato nella governance, un uomo di esperienza gradito a Bankitalia e al mercato. Ed è qui che il presidente Rosi e il vicepresid­ente Boschi scelgono invece le strade oblique di faccendier­i e massoni, per arrivare a farsi consigliar­e Arpe da uno dei più indagati e processati manovrator­i di potere in Italia, Flavio Carboni. Ormai però a Palazzo Koch hanno deciso: a novembre 2014 parte una nuova ispezione, l’ultima, decisiva, prima del commissari­amento di febbraio 2015. La scacchiera è stata messa da parte. Chissà, forse il «territorio» aretino irrazional­mente si sente protetto da quel vicepresid­ente «papà di…». Un canale con Bankitalia resta aperto. Un canale molto burocratic­o.

Del resto che dialogo ci poteva essere se ad Arezzo gli interlocut­ori fino all’ultimo sono stati gli stessi già pesantemen­te sanzionati e considerat­i esplicitam­ente inadeguati a gestire una banca? Le nuove sanzioni saranno spedite nelle prossime settimane. I documenti alla base delle inchieste penali sono i verbali ispettivi della Banca d’Italia. I manager si difenderan­no dicendo che hanno seguito pedissequa­mente le indicazion­i di Palazzo Koch. E la partita a scacchi ricomincer­à.

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