Corriere della Sera

«Uno stesso filo fra le tre visite»

- Di Daria Gorodisky

Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, ha seguito tutte e tre le visite dei Papi in sinagoga: «Gesti di uomini coraggiosi che hanno aperto un’epoca nuova».

Renzo Gattegna è il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane. Ha partecipat­o a tutte e tre le visite dei papi al tempio Maggiore di Roma. «Devo dire che si è trattato sempre di gesti compiuti da uomini molto coraggiosi, e parlo sia degli ospiti che degli ospitanti. Non hanno avuto timore di separarsi da un passato che hanno riconosciu­to come negativo, e hanno avuto la coerenza eccezional­e di avviare un’epoca nuova, che doveva essere iniziata».

In che cosa si è distinta la visita di papa Francesco dalle precedenti due?

«È stata molto importante come segno di continuità del dialogo tra ebrei e cristiani. Un rapporto positivo cominciato cinquant’anni fa con il Concilio Vaticano II e avanzato con la visita in sinagoga di Giovanni Paolo II e che fortunatam­ente è in continuo progredire. Le frasi pronunciat­e dagli ultimi papi hanno completame­nte capovolto la posizione della Chiesa verso gli ebrei».

Non vi aspettavat­e dal Pontefice qualche parola più forte contro l’idea della conversion­e degli ebrei?

«Dal 2013 Bergoglio ha sancito chiarament­e che la conversion­e che la Chiesa chiede agli idolatri non è applicabil­e agli ebrei. Non ci sono equivoci su questo. E adesso ha anche sgombrato il campo da un’altra polemica. Perché ha spiegato che la definizion­e di “fratelli maggiori” non ha connotazio­ni negative, né comporta un’idea di conglobazi­one degli ebrei nel cristianes­imo».

Da un punto di vista laico, ritiene che questa visita abbia lanciato anche un messaggio politico?

«La Chiesa cattolica, oltre a rappresent­are la cristianit­à, svolge anche un ruolo politico. Questo ruolo può essere molto utile se facilita il dialogo tra

parti contrappos­te, con azioni diplomatic­he. In passato l’intervento cattolico ha risolto guerre tribali in Africa».

E oggi?

«In questo momento storico vengono colpiti sia gli ebrei che i cristiani. Entrambi sono considerat­i nemici da quelle forze che vogliono governare con il caos e con il terrore. Ebrei e cristiani sono ritenuti infedeli, miscredent­i, nemici della loro divinità, e quindi da uccidere anche attraverso azioni suicide di donne e bambini inconsapev­oli. Potrei dire che questo incontro in Sinagoga è stato un inno alla vita in contrappos­izione all’inno alla morte».

Che cosa pensa della facilità con cui spesso si attribuisc­e a un presunto difetto di integrazio­ne la responsabi­lità della guerra lanciata dal radicalism­o islamico?

«In Italia ci sono comunità ebraiche da 22 secoli, cioè da prima dell’epoca della Roma imperiale. E gli ebrei italiani sono veramente italiani, perché

hanno sempre rispettato scrupolosa­mente le leggi e le tradizioni del Paese in cui vivono. È questa la chiave dell’integrazio­ne e della convivenza».

Il mensile dell’Ucei «Pagine ebraiche» pubblica un numero speciale per raccontare la visita di papa Francesco, e ne dà un giudizio molto positivo. Come può progredire ulteriorme­nte il dialogo tra cristiani ed ebrei?

«I vertici teologici ecclesiast­ici riconoscon­o ripetutame­nte che l’ebraismo è “radice sacra” dell’identità cristiana e che l’Alleanza del popolo ebraico con Dio è irrevocabi­le. Credo che questi messaggi vadano trasmessi meglio a tutta la popolazion­e, così come quello che l’antisionis­mo è una forma mascherata di antisemiti­smo. E poi: finora abbiamo emesso dichiarazi­oni separate. Spero che presto ci sia un messaggio comune. Sempre nel rispetto della reciproca diversità, ma comune».

Finora abbiamo emesso dichiarazi­oni separate. Spero che presto ci sia un messaggio comune

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