Corriere della Sera

E il Papa ricorda Buenos Aires: «Amavo le vostre preghiere»

- Paolo Conti

«Quando ero a Buenos Aires amavo molto andare in Sinagoga soprattutt­o a Capodanno, per ascoltare la preghiera del Selichà». Papa Francesco non è ancora entrato nella Sinagoga Maggiore, è all’esterno, sotto il cielo blu cobalto della Roma gelata dalla tramontana. Parla con Mario Venezia, presidente della Fondazione Museo della Shoah, che gli ha appena consegnato una copia del libro di suo padre Shlomo, Sonderkomm­ando, uscito da Rizzoli nel 2007, dedicato alla sua tragedia di ebreo non solo deportato ma costretto dai nazisti a collaborar­e, in quella squadra speciale, a molti capitoli dello sterminio di altri ebrei nei campi di concentram­ento. Bergoglio si commuove: «È incredibil­e pensare di quanto e di quale odio sia capace l’uomo, di quali crudeltà…».

Poi l’ingresso in Sinagoga, accolto dalla presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, e dal presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna. Arriva quasi di corsa anche il Rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, impegnato fino all’ultimo in mille dettagli organizzat­ivi. La simpatia, la confidenza tra i due appaiono evidenti a tutti.

E cominciano subito gli altri incontri. Informali, spesso affettuosi. È Ruth Dureghello a presentarg­li le numerose, diverse anime dell’ebraismo romano e italiano. Sono decine e decine le mani che il Papa stringe, sempre guardando negli occhi l’interlocut­ore, soffermand­osi con attenzione: ecco l’ex presidente della Comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici, riconosciu­to subito da Bergoglio, quasi con familiarit­à. E Johanna Arbis, della Jerusalem Foundation, poi Giorgia Calò, assessore alla Cultura della Comunità ebraica, la direttrice del museo ebraico Alessandra di Castro, Raffaele Besso della Comunità ebraica di Milan, Elio Limentani, direttore delle scuole ebraiche. Poi Barbara Pontecorvo, consiglier­e di amministra­zione della Casa di Riposo Ebraica.

Tutti volti che rappresent­ano la prova di ciò che la presidente Dureghello dirà rivolgendo­si a papa Francesco durante il discorso ufficiale: «Un ebraismo impegnato, nei secoli, al sostegno dei bisognosi, alla cura dei malati e degli anziani, all’educazione dei figli e delle nuove generazion­i». Infatti c’è Claudio Moscati, presidente della Consulta della comunità ebraica, Bruno Sed, presidente del centro culturale Pitigliani, Scialom Tesciuba, punto di riferiment­o degli ebrei tripolini approdati a Roma dopo la fuga dalla Libia di Gheddafi nel 1970 con gli altri italiani, Roberto de Vita, avvocato penalista, protagonis­ta delle battaglie legali contro i neonazisti e i neofascist­i, la storica Donatella di Cesare, Leone Ouazana, uno dei feriti nell’attentato alla Sinagoga del 1982. Pacifico Spagnolett­o, medico dell’ospedale israelitic­o. Insomma, l’attivissim­o, effervesce­nte, coltissimo ebraismo italiano.

Nella grande navata della Sinagoga Maggiore, costruita in un inedito stile orientale assiro-babilonese nel 1904 da Vincenzo Costa e Osvaldo Armanni, l’incontro del Papa ha momenti commoventi. Come quando sfila davanti al primo banco, dove si trovano in fila gli ultimi deportati ancora in vita. Ecco Alberto Mieli, che ha appena scritto con la nipote Ester il libro di memorie «Eravamo ebrei/questa era la nostra unica colpa», la sua storia di sopravviss­uto alla prigionia prima ad Auschwitz e poi a Mauthausen, dove venne marchiato

col numero 180060.

Accanto a lui, Sami Modiano, Piero Terracina, Alberto Sed. Le sorelle Andra e Tatiana Bucci, di padre cattolico e mamma ebrea, internate ad Auschwitz a 4 e 6 anni, insieme a tutta la loro famiglia, il 4 aprile del ‘44, scambiate per gemelle e finite nei Kinderbloc­k del dottor Mengele, miracolosa­mente scampate all’eccidio. Da tempo avevano espresso il desiderio di incontrare papa Francesco: adesso l’occasione è arrivata. Per ciascuno Bergoglio ha un saluto affettuoso. Le sorelle Bucci ricevono un bacio sulle guance, insieme ad un abbraccio, e quasi una carezza.

Alla fine, l’incontro riservato negli uffici della Comunità, nella «Saletta dei matrimoni». Papa Bergoglio si rilassa e apprezza moltissimo, sorridendo, un piccolo spuntino: le pizzette e i celeberrim­i dolcetti ebraici dell’antica pasticceri­a del Ghetto, nella cosiddetta Piazza Giudìa. Sono tra i migliori di Roma, e da secoli.

Emozione Le lacrime per la Shoah: «Incredibil­e pensare di quanto odio sia capace l’uomo»

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