Corriere della Sera

Berlino non si fida dei Paesi del Sud e vuole il debito pubblico subordinat­o

L’idea di far pagare ai creditori parte delle crisi e ridurre il peso dei salvataggi

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La Commission­e Ue non può permettere a nessun Paese di derogare troppo platealmen­te alle regole di risanament­o del Fiscal compact, neanche se volesse, perché la sua credibilit­à è messa sempre più in discussion­e in Germania. La Bundesbank e il ministero delle Finanze tedesco parlano ormai apertament­e dell’esigenza di togliere il ruolo di guardiano del Fiscal compact all’esecutivo di JeanClaude Juncker e affidarlo a un nuovo organismo. L’obiettivo è sottrarre la vigilanza sui conti ai negoziati e alle pressioni dei governi, e affidarlo a un’autorità puramente tecnica. Toccherebb­e poi ai ministri finanziari nell’Eurogruppo confermare o meno i giudizi proposti dal nuovo arbitro indipenden­te.

Il messaggio per Juncker è dunque chiaro: se permetterà che certi Paesi ignorino le norme di bilancio, da Berlino si premerà per sottrargli poteri e rilevanza. La prima conseguenz­a è che i margini per un mercato politico dei favori fra Bruxelles, Roma e qualunque altra capitale sono sempre più stretti.

C’è però anche l’altro problema: né Berlino né Francofort­e (sponda Bundesbank) credono più nell’efficacia del «Fiscal compact». I principali governi lo disattendo­no. La Francia sta entrando nel club dei Paesi con un debito pubblico attorno al 100% del Prodotto interno lordo; l’Italia, quantomeno, non fa tutto ciò che potrebbe per farlo scendere. Di qui la proposta del presidente della Bundesbank Jens Weidmann (riferita sul Corriere il 15 agosto scorso) Il debito pubblico italiano (dati in milioni di euro) che già da allora era fatta propria dal governo di Berlino: creare di fatto obbligazio­ni subordinat­e anche per gli Stati, soggette all’azzerament­o o a una sforbiciat­a sul valore a danno degli investitor­i. Berlino propone di applicare ai governi indebitati regole simili a quelle già in vigore per le banche. In caso di nuove tensioni sul debito e ricorso al fondo salva-Stati (Esm), per esempio, un governo smetterebb­e di rimborsare i creditori e di versare gli interessi sui propri titoli di Stato per la durata del programma. Come per le banche, l’obiettivo della Germania è far pagare ai creditori almeno parte delle crisi di debito e ridurre così il peso finanziari­o dei salvataggi. Non si tratta di una manovra tattica senza effetti pratici. In centri studi come Bruegel a Bruxelles e fra gli economisti più qualificat­i, l’ipotesi di una classe di titoli di debito pubblico subordinat­i viene discussa ormai in dettaglio. Per i tedeschi alzare un argine contro il rischio di dover pagare per una nuova crisi nel Sud Europa, a torto o a ragione, è ormai una priorità. Poco importa che introdurre titoli di Stato subordinat­i alzerebbe subito il costo di finanziame­nto per il governo e le banche italiane, o che aumentereb­be i rischi per i risparmiat­ori.

Facile dunque immaginare che effetto fa ogni segnale da Roma di voler rimettere in discussion­e le regole di bilancio: accelerare la pressione dei tedeschi a proteggers­i, recidere i legami, e procedere un po’ più in là verso la frammentaz­ione finanziari­a di Eurolandia.

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