Strade e ferrovie, la partita di Anas e Rfi
Delrio e Martina, nuova missione a sostegno delle aziende. L’export può crescere fino a 3 miliardi
«Industria, infrastrutture, energia e scienza». È il made in Italy a cui punta per ora l’Iran. Il copyright della lista è del presidente Hassan Rouhani, che sarà in Italia il 25 e il 26 gennaio. Teheran è in cerca di investimenti per far ripartire il Paese. L’implementation day ha rimosso le sanzioni di Ue e Onu e quelle secondarie degli Stati Uniti. Per l’Italia la prospettiva, secondo le stime di Sace, è di un incremento dell’export di quasi 3 miliardi nei prossimi 4 anni.
La concorrenza è altissima e l’Italia cerca di essere in prima fila in un mercato che resta comunque ancora difficile. Il viceministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda, andrà a Teheran dall’8 al 10 febbraio e porterà con sé il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio e il titolare dell’Agricoltura Maurizio Martina. Calenda si occuperà delle prospettive dell’oil& gas, uno dei settori di maggiore opportunità per le imprese italiane. L’Iran ha bisogno di nuovi impianti e di ammodernare quelli già esistenti ( è il quarto Paese al mondo per riserve di petrolio e il numero due per riserve di gas naturale) e ha già individuato 50 progetti prioritari del valore di 30 miliardi di dollari. Calenda era già stato in Iran a fine novembre. La missione di Mise, Confindustria e Abi aveva portato a Teheran 181 imprese, 20 associazioni imprenditoriali e 12 gruppi bancari. C’erano anche big come Eni, Enel, Saipem, Maire Tecnimont, Nuovo Pignone, Prysmian, Renco e il Gruppo Trevi. In quella occasione il ministro iraniano dell’Industria, Mohammad Reza Nematzadeh, aveva spiegato che Teheran ha varato un piano per i prossimi anni da «15 miliardi di dollari» per le infrastrutture del Paese: ferrovie, porti, autostrade, aeroporti. La visita di Delrio si inserisce in questo contesto. Le imprese statali iraniane hanno già pronti i progetti e sono interessate al know how delle nostre aziende. Anas e Rfi (la società della Rete ferroviaria italiana) faranno parte della delegazione, insieme ad un gruppo di imprese private. Il modello a cui punta Teheran è quello della partnership e l’Italia piace per l’approccio rispettoso delle realtà locali che non sempre hanno altri gruppi stranieri. La formula è quella del project financing: la realizzazione di opere pubbliche non a carico dello Stato ma di investitori privati. La possibilità di aumentare la produzione di petrolio porterà nuova linfa alle casse iraniane ma con il prezzo del greggio così basso non sarà sufficiente per sostenere tutti gli investimenti di cui ha bisogno il Paese. Oltre all’oil& gas e alle infrastrutture, i settori trainanti sono i trasporti e l’automotive, la generazione elettrica, le costruzioni e l’edilizia residenziale. E poi c’è la meccanica agricola, motivo della missione di Martina. L’Italia è tra i leader mondiali del settore per know how e innovazione e l’Iran ha bisogno di adeguare i propri sistemi produttivi.
Non sono solo i grandi gruppi come Finmeccanica, Ansaldo e Fincantieri a intravedere opportunità nel Paese. Anche le piccole e medie imprese guardano con interesse a quel mercato, ricambiate da Teheran che nel tessuto produttivo italiano individua diverse somiglianze con quello iraniano. Ad anticipare i tempi è stata la Fiera di Pordenone che già a gennaio 2015 aveva portato in Iran un gruppo di aziende friulane e che anche quest’anno ha ripetuto l’iniziativa accompagnando in questi giorni a Teheran 60 imprese di arredamento e design.
Negli anni delle sanzioni gli spazi lasciati vuoti dalle aziende europee sono stati occupati da gruppi russi, cinesi e indiani. Recuperare il terreno perduto non sarà facile e l’Iran resta un mercato complicato. « Per le imprese italiane si apriranno opportunità rilevanti caratterizzate però da rischi non trascurabili — osserva Alessandro Terzulli, capo economista di Sace —. Le aziende devono fare attenzione nel redigere alcuni contratti e ricordare che in certi ambiti le sanzioni Usa non sono state eliminate per non incorrere in rischi reputazionali».