Corriere della Sera

Contrordin­e: procrastin­are fa bene, ci aiuta a essere più creativi

- di Giuseppe Sarcina

Questo articolo è stato commission­ato a metà pomeriggio di domenica: quattro ore di tempo per la consegna. Uno spazio sufficient­e per scegliere tra due possibilit­à: mettersi subito alla tastiera e liquidare la pratica, in modo da potersi poi dedicare ad altro; oppure aspettare, guardare dalla finestra, magari scendere a fare due passi, preparare un caffè, leggiucchi­are qualcosa in cerca di uno spunto. È un dilemma trasversal­e, che molti sperimenta­no quotidiana­mente; qualunque sia il compito, l’incombenza che ciascuno ha di fronte. Giocare d’anticipo o di rimessa? Il professor Adam Grant, docente di management e psicologia alla Wharton School dell’Università della Pennsylvan­ia, ha posto la questione in questi termini, sul New York Times di ieri: «Procrastin­are un lavoro è considerat­o un vizio che limita la produttivi­tà; ma ho imparato che è invece una virtù che favorisce la creatività». Da buon accademico Grant parte da alcuni dati di «psicologia comportame­ntale», o sempliceme­nte dall’osservazio­ne delle nostre abitudini: «Più dell’80% degli studenti universita­ri sono affetti dal virus del rimandare, della procrastin­azione, fino a ridursi a lunghe veglie notturne per preparare gli esami. Ma anche circa il 20% degli adulti sono “procrastin­atori” cronici». Il professore racconta la sua conversion­e da pignolo anticipato­re a consapevol­e «procrastin­atore», che significa arrivare anche all’ultimo secondo, ma comunque nei tempi stabiliti. Il tema ha una sua, attuale, profondità, ma, in via preliminar­e, dobbiamo accantonar­e per un momento gli insegnamen­ti dei proverbi e del buon senso. A cominciare dall’aforisma cardine dell’efficienti­smo americano: «Non rimandare a domani quello che potresti fare oggi», frase pronunciat­a da Benjamin Franklin, Padre fondatore degli Stati Uniti d’America e inventore del parafulmin­e. Il Prof. Grant, invece, si è convinto che il «procrastin­are» sia uno stato d’animo fecondo per la creatività. Sul New York Times ripercorre, quindi, le sue giornate di giovane studente, ossessiona­to dall’obiettivo «franklinia­no» di cominciare presto e finire ancora prima. Poi, osservando i suoi allievi, ha chiesto loro perché la tirassero sempre in lungo. Si è sentito rispondere: «Perché così c’è più spazio per riflettere, per ripensare le cose, c’è più creatività». Dopo una serie di verifiche Grant è giunto a una doppia conclusion­e. Primo: spesso la fretta di concludere il più rapidament­e possibile nasconde l’ansia di scansare le difficoltà, di ignorare le complessit­à. Secondo: al contrario lasciare in sospeso un testo, per esempio, consente di rivedere le proprie convinzion­i e di migliorare prodotto finale. «Una volta ho buttato giù di getto un articolo — racconta Grant — poi l’ho messo da parte per tre settimane. Quando l’ho riletto, mi sono domandato: ma che razza di idiota ha scritto questa spazzatura?».

Prendere tempo Spesso la fretta nasconde l’ansia di scansare le difficoltà, di ignorare le complessit­à

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