SE MARONI AMA IL DIALETTO PROMUOVA UN CENTRO STUDI
Circola un’idea quanto mai fallace secondo cui i dialetti andrebbero protetti come specie a rischio di estinzione. Ad essa, purtroppo, si ispira anche la legge in corso di approvazione presso la Regione Lombardia. Questa idea è falsa, perché le lingue non si pilotano. Neppure Manzoni, che era Manzoni e dietro aveva il nuovo Stato unitario, riuscì a imporre agli italiani il fiorentino colto. Che speranze può avere Maroni con il lombardo?
Se il tribunale della Storia ha decretato il tramonto dei dialetti, ormai ridotti, anche dove si parlano, a poco più che mascherature fonetiche dell’italiano, una ragione dovrà pur esserci. Con la nostalgia non si va lontano. D’altronde che possibilità potrebbero avere delle lingue del particolare e dell’idiomatico nell’universo della globalizzazione, dove anche le lingue nazionali sono in crisi? Sarebbe come pretendere di riesumare nell’era dell’hi-tech gli attrezzi dei musei contadini. Scuole di dialetto, cartelli stradali strapaesani, idiomi popolari nella pubblica amministrazione sono solo folclore e infatti non hanno lasciato nulla, se non uno strascico di polemiche.
Se si ha veramente a cuore la tradizione dialettale, oggi si possono concretamente fare due cose. Primo, promuovere una seria educazione plurilinguistica, che ribadisca la uguale dignità di tutti i codici e riabiliti le radici di ciascuno, nella persuasione che ogni lingua non è una semplice nomenclatura, ma una visione del mondo. Secondo, studiare seriamente i dialetti e le tradizioni dialettali. A dispetto della sua dozzina di università, la Lombardia è fra le poche regioni che non hanno un centro studi qualificato. Manca un vocabolario storico dei dialetti lombardi e non sappiamo neppure esattamente l’estensione del patrimonio letterario in dialetto.
Se invece la difesa del lombardo dovesse rivelarsi un mero strumento di discriminazione, allora non ci sarebbe neppure bisogno di scomodare la parola cultura.