Corriere della Sera

Coltrane jr: così nacque il capolavoro «A Love Supreme»

- Claudio Sessa

Cisono alcuni dischi di jazz che costituisc­ono il «canone» di questa musica (e non solo). Dovendo limitarsi a due titoli, la maggior parte dei conoscitor­i citerebbe l’album inciso da Miles Davis nel 1959, «Kind of Blue», e quello di John Coltrane di cinque anni dopo, «A Love Supreme»: lo yin e lo yang dell’improvvisa­zione, il suo lato apollineo e quello dionisiaco. Un solo musicista suona in entrambi: appunto Coltrane, il sassofonis­ta che dopo essersi rivelato al fianco di Davis spiccò il volo con un proprio quartetto disegnando una bruciante parabola artistica e morendo di tumore al colmo della gloria nel 1967, neppure quarantenn­e. Di questa parabola «A Love Supreme» è considerat­o il momento più equilibrat­o: una suite in quattro movimenti a coprire un intero microsolco. Come è accaduto per «Kind of Blue» nel corso dei decenni si è cercato tutto ciò che riguardava quest’opera. Ne è nato un affascinan­te «making of» che dà vita oggi a una versione definitiva dal ricco apparato iconografi­co: l’edizione «The Complete Masters» in 3 cd offre tutte le foto scattate in studio d’incisione e la riproduzio­ne degli appunti manoscritt­i di Coltrane. Oltre al disco originale vi si ascoltano l’unica versione dal vivo dell’opera (in Francia, l’anno dopo) e quanto venne provato in studio: il 9 dicembre 1964 con il quartetto di Coltrane, assieme a McCoy Tyner, Jimmy Garrison ed Elvin Jones; il giorno dopo con l’aggiunta di un secondo contrabbas­so (Art Davis) e di un secondo sax, quello sulfureo del giovane Archie Shepp. Qualcosa era già stato pubblicato, ma ora tutto è riunito in un’unica confezione. Ne abbiamo parlato con un altro sassofonis­ta d’eccezione: Ravi Coltrane, una delle voci di rilievo del jazz di oggi, il figlio di John e della pianista Alice Sassofono John Coltrane (1926-1967) è stato un sassofonis­ta e compositor­e statuniten­se. «A Love Supreme» è uno dei dischi jazz più venduti nel mondo

Coltrane concepito proprio nei giorni di «A Love Supreme». «John ha studiato come un pazzo — dice Ravi — per poter suonare ciò che ha suonato. “A Love Supreme” conserva ancora tutti i suoi significat­i; se non l’hai mai ascoltato suona ancora nuovo e proiettato nel futuro». Che impression­e le fanno le incisioni rimaste fino ad ora inedite? «Da giovane Carlos Santana mi mandò una scatola piena di cassette, concerti e altra musica inedita di John Coltrane. Qualsiasi materiale di cui riusciamo a entrare in possesso è interessan­te; permette di costruire il ritratto di quest’uomo. È emozionant­e ascoltare ciò che fa assieme a Shepp, che ha una voce assolutame­nte unica; si capisce che John in qualche modo gli concede qualcosa. Se Shepp suona un’idea, anche John comincia a lavorarci sopra. C’è un bellissimo equilibrio nel modo in cui John lo inserisce nella propria musica». Nella sua esperienza, qualche album può essere paragonato per importanza al grande lavoro di suo padre? «Ormai non si pensa più in termini di album, ma penso al “doppio bianco” dei Beatles oppure a “Songs in the Key of Life” di Stevie Wonder. Le singole canzoni sono meno importanti dell’insieme. C’è chi parla dei “brani” di “A Love Supreme”: non ci sono brani in quel disco! Ciò che importa è l’album, non i suoi episodi».

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