Corriere della Sera

Il terrore giustizial­ista dell’Italia del 1993

- Di Pierluigi Battista

Si intitola Novantatré, come il romanzo che Victor Hugo volle dedicare al Grande Terrore rivoluzion­ario in cui il solo autorizzat­o a parlare era il boia con la sua ghigliotti­na, il libro di Mattia Feltri che è stato appena pubblicato da Marsilio. Si dice sempre: bisogna ricordare, mai abbassare la guardia della memoria. Ecco, questo libro serve a ricordare ciò che vorremmo dimenticar­e sui risvolti oscuri, bui, indicibili della rivoluzion­e chiamata «Mani Pulite» che affossò la Prima Repubblica nel ’92-’93. Ci aiuta a ricordare, attraverso un’inchiesta dettagliat­issima proposta da Mattia Feltri nel 2003 sul Foglio e che viene ripresa in queste pagine capaci come poche di trasmetter­e angoscia e stupefazio­ne, che insieme alla non onorevole carriera dei ladri di regime e di partito si dissolse in Italia lo Stato di diritto. Un Terrore nostrano ma non meno violento, in cui i giornali e le tv non lesinarono panegirici imbarazzan­ti per incensare i nuovi angeli sterminato­ri della magistratu­ra. In cui l’opinione giornalist­ica si adeguò nella sua quasi totalità (Mattia Feltri, con un’onestà intellettu­ale che gli fa onore, non risparmia nessuna citazione, nemmeno quelle che riguardano suo padre Vittorio) ai fogli d’ordinanza dettati dalle Procure. In cui ci furono suicidi di cui si disse che il suicidio era la prova della colpevolez­za. In cui si teorizzava l’uso smisurato e intimidato­rio della carcerazio­ne preventiva. In cui il processo mediatico soppiantò quello giudiziari­o in senso stretto. Alcuni ladri furono assicurati alle patrie galere? Sì. Certo. Ma la democrazia liberale e lo Stato di diritto vissero un periodo fosco e corrusco. E la giustizia si trasformò molto spesso in gogna e linciaggio.

Il libro di Feltri è pieno di dettagli da brivido. Ma le citazioni dei magistrati accolte nel giubilo popolare e riportate in queste pagine dimostrano quanto sia sprofondat­a in Italia la cultura dei diritti. «Si vede che c’è ancora qualcuno che per la vergogna si uccide», disse Gerardo D’Ambrosio dopo il suicidio del socialista Sergio Moroni. «Noi incarceria­mo la gente per farla parlare. La scarceriam­o dopo che ha parlato», proclamò Francesco Saverio Borrelli. Il gip onnipresen­te Italo Ghitti: «Il nostro obiettivo non è rappresent­ato da singole persone, ma da un sistema che cerchiamo di ripulire». Pier Camillo Davigo, a un convegno del Lions Club del 14 luglio 1993: «Gli inquisiti non si possono lasciare in libertà, altrimenti la gente si incazza». Il Terrore.

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