L’Inter alla svolta riparte subito o si ridimensiona
I partenopei sono scappati via, i nerazzurri si sono inceppati: così è nato il ribaltone scudetto I pregi all’improvviso trasformati in difetti
Adesso che per la prima volta in stagione l’Inter è fuori dai primi due posti che garantiscono l’accesso diretto alla Champions, sarebbe bene non cedere alla tentazione di trasformare quelli che si pensavano pregi in incorreggibili difetti. Il camaleontismo di Mancini? Solo confusione. La difesa muro? Un colabrodo. La mediana solida? Un accrocchio di piedi plebei. L’attacco cinico? Un reparto d’emergenza. L’etica dell’1-0? Fortuna e Handanovic. E le ambizioni? Illusioni. Eccetera eccetera.
Non può essere proprio così, e si deve ancora dare credito all’allenatore quando dice che «se siamo stati in testa così tante giornate non è per caso». Certo il momento è delicato, anzi decisivo: o si svolta adesso, riprendendo la marcia antica, o ci si ridimensiona. L’ultimo mese racconta di una chiara involuzione nei risultati, nella guida tecnica, nello spirito generale. Quattro punti in 4 partite non sono un cammino ma una passeggiata zoppa nelle sabbie mobili. Il gioco — mai esaltante ma costruito su solidità, cooperativismo e grinta — è peggiorato, e sinceramente sembrava impossibile. Alcune lacune strutturali sono emerse chiare: i difetti di gioventù di Murillo e l’assurdo valzer dei terzini, anche se nessuna difesa è impenetrabile se non è ben protetta; la mediana, estirpata per necessità la qualità (ma le cessioni di Hernanes e Kovacic sono state mosse finanziariamente corrette), senza una perfetta forma fisica non sa pensare né interdire; l’attacco è un ensemble di solisti che non si cercano e quando Mancini sostiene che Jovetic è un centravanti ammette l’incompatibilità con Icardi.
A Bergamo il tecnico li ha attaccati, deluso e preoccupato, perché con una media di 1,25 gol a partita non si va da nessuna parte. Col senno di poi, allora, i molti cambi di formazione appaiono più una caccia al tesoro che una scelta filosofica: a volte è andata bene, altre no. Ma non è così che si fonda un progetto tattico duraturo.
Ma c’è anche altro. A ripensarci oggi, Inter-Lazio (1-2) fu rivelatore, e non tanto per la lite post partita tra Mancini e Jovetic, ma per quell’ammissione del tecnico sulla scarsa concentrazione nel riscaldamento prepartita e nella settimana di cene natalizie varie. A Bergamo, pur in un contesto diverso, si è rivista quella scarsa concentrazione, come se si fosse persa la grande qualità che aveva caratterizzato l’Inter capolista: la compattezza e la forza mentale. Qui soprattutto deve intervenire Mancini fin da domani, dove una brutta sconfitta a Napoli in Coppa Italia potrebbe essere altro pericoloso sale sulle ferite.
Poi, va da sé, c’è la strada, difficile, del mercato. Ormai è chiaro che un uomo di governo in mezzo è indispensabile (magari arretrando Medel in difesa per far rifiatare Murillo), così come lo è un interno capace di inserirsi e giocare la palla con sveltezza. In attacco invece un Eder servirebbe più di Lavezzi (un altro solista), mentre tra Jovetic e Ljajic sembra ormai esserci spazio per uno solo.
Ma questo, probabilmente, sarà un argomento per l’estate. Quando, se le cose non cambiano in fretta, potrebbe essere troppo tardi.