Corriere della Sera

Gutgeld: l’Europa ci tratti come gli altri Avanti con la spending, le riforme marciano

Il commissari­o: «Con l’Unione non è un problema di comunicazi­one, ma politico»

- di Federico Fubini

Yoram Gutgeld non si lascia distrarre dalle fibrillazi­oni sulle banche italiane. Da mesi porta avanti la sua opera di commissari­o alla revisione della spesa con tutta la concretezz­a di cui è capace: oggi stesso riunisce gli assessori e i direttori generali alla Sanità di tutte le regioni italiane per far entrare nel vivo il nuovo sistema centralizz­ato degli acquisti. Ma come consiglier­e economico di Palazzo Chigi, vede bene il contesto: «È nell’interesse della Commission­e europea avere un’Italia forte - dice - ed è interesse dell’Italia avere una Commission­e forte».

Intanto però a molti la «spending review» sembra ferma. Impression­e errata?

«Sì, e lo dimostro. Proprio in questi giorni sta partendo operativam­ente il nuovo sistema degli acquisti di beni e servizi dell’amministra­zione. Passiamo da 33 mila stazioni appaltanti a 35. Ovviamente il processo avverrà in modo graduale, ma iniziamo in questi giorni facendo entrare una quota importante degli acquisti della sanità nel nuovo sistema. Parliamo di circa 15 miliardi di spesa. E entro tre anni potremo raggiunger­e almeno 50 miliardi».

Avete un’idea dei risparmi possibili da quest’anno?

« I risparmi arriverann­o quando faremo le gare nuove d’appalto. E le gare diventeran­no effettive in modo graduale, in parte quest’anno, in parte il prossimo e via di seguito. A regime, penso che sia realistico

ipotizzare un risparmio attorno medio al 10%».

Lavorate anche su altri fronti della spesa sanitaria?

«Intanto il progetto sugli acquisti non riguarda solo la sanità, ma anche ministeri, comuni e tutte le altre amministra­zioni. Ma sulla sanità c’è anche un altro intervento, previsto dalla legge di Stabilità: gli ospedali che non registrano né risultati economici né un’adeguata performanc­e clinica dovranno avviare un percorso di rientro su entrambi i fronti. Vale l’approccio che cerco di dare a tutta la spending review: non si tratta solo di mettere a dieta lo Stato, ma di fargli cambiare stile di vita perché poi non servano sempre nuove diete. L’utilizzo dei costi standard dei Comuni sono un altro esempio».

Tutto avviene su uno sfondo di tensione crescente fra il governo italiano e la Commission­e Ue. Come si spiega?

«Ciò che l’Italia sta chiedendo, anche sui conti pubblici, è nelle regole. Non chiediamo niente che non sia previsto. C’è la percezione che su qualche dossier l’approccio della Commission­e verso l’Italia sia stato, forse, più rigido rispetto a quello verso altri Paesi. L’Italia chiede solo il rispetto e la consideraz­ione dovuti a un Paese che negli ultimi due anni ha fatto riforme importanti­ssime, come forse pochi altri in Europa. Non a caso stiamo ottenendo risultati apprezzabi­li di crescita e riduzione della disoccupaz­ione».

Eppure polemiche così accese fra Bruxelles e altri governi si vedono di rado. Un problema di comunicazi­one?

«Può darsi che in passato la debolezza dell’Italia, dovuta alla mancanza di riforme e a una performanc­e economica nettamente inferiore a quella degli altri, non abbia consentito di chiedere con più forza dei riconoscim­enti».

Ma ora perché non cercate di farvi capire meglio in Europa?

«Non credo sia un problema di comunicazi­one. La questione è politica. Il punto è ottenere a Bruxelles risultati che forse nel passato non siamo stati in grado di raggiunger­e a causa della nostra debolezza. Lo sottolineo: è un dibattito politico. Temo che discutere di comunicazi­one sia un pretesto».

Per esempio, state discutendo da più di un anno con Bruxelles sulla «bad bank» per liberare le banche dai crediti in default. Davvero è così importante?

«Sicurament­e quello è uno strumento molto utile, soprattutt­o per le banche piccole, per consentire loro di gestire meglio la questione dei crediti in difficoltà che rendono i loro bilanci più problemati­ci. Quindi sì, è importante».

E non c’è. L’Italia entra nel sistema europeo che fa pagare i risparmiat­ori in caso di salvataggi­o pubblico delle banche senza avere risolto il problema.

«Spero che questo negoziato sia agli sgoccioli. Mi auguro sia risolto in tempi brevissimi».

Alcuni dicono che la tempesta sulle banche in Borsa è frutto della tensione fra Roma e Bruxelles. Che ne pensa?

«Abbiamo un sistema bancario solido, fatto per due terzi di banche internazio­nali, a partire da Unicredit e Intesa Sanpaolo. Per un terzo invece è fatto da

banche più piccole, che hanno bisogno di aggregarsi per diventare più forti e di ricapitali­zzarsi per gestire il tema dei crediti in difficoltà. Il governo ha affrontato le riforme struttural­i che servono a rendere questo pezzo meno forte del sistema bancario altrettant­o forte: abbiamo fatto la riforma delle banche popolari e stiamo per fare quella delle banche di credito cooperativ­o. Anche per questo chiediamo alla Commission­e europea più consideraz­ione».

Però il mercato sembra non fidarsi. Perché secondo lei?

«C’è un contesto internazio­nale di caduta delle Borse negli ultimi giorni. Ma non è vero che i mercati non si fidano dell’Italia. Piazza Affari nel 2015 ha registrato dei progressi fra i maggiori in Europa. Paghiamo sui titoli di Stato interessi più bassi della Spagna, e prima non succedeva. Nell’ultimo anno la fiducia degli investitor­i nell’Italia è aumentata notevolmen­te. Ora c’è un fenomeno congiuntur­ale che riguarda certe banche, per i motivi che ci siamo detti».

Senza «bad bank» il problema è gestibile?

«Credo che la cosa fondamenta­le siano le riforme struttural­i. Questo sì. La bad bank sicurament­e sarebbe utile, e credo che ci siano tutte le premesse per farla partire. Ma il punto fondamenta­le è l’insieme di interventi che abbiamo già lanciato per far crescere l’economia».

Proprio in questi giorni sta partendo il nuovo sistema degli acquisti di beni e servizi della pubblica amministra­zione In passato la debolezza dell’Italia, le poche riforme attuate, non hanno consentito di chiedere con più forza dei riconoscim­enti

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