La riforma
Il Jobs act è la riforma del diritto del lavoro, fatta in Italia fra il 2014 e il 2015. Il nome è derivato dall’omonima legge varata nel 2012 negli Stati Uniti da Obama, dove il nome è l’acronimo di «Jumpstart our business startups act», che significa fare un salto in avanti nel lancio di iniziative imprenditoriali
Il Jobs act ha introdotto un contratto del lavoro a tutele crescenti, un tipo di contratto a tempo indeterminato che prevede per i nuovi assunti una serie di garanzie che aumentano con il passare degli anni. È uno strumento finalizzato a contrastare il precariato
Il buono lavoro, chiamato anche voucher, è una modalità di retribuzione introdotta nel 2008 per il settore agrario e oggi usata per i lavori di tipo occasionale e accessorio
I voucher interessano soprattutto studenti fino ai 25 anni, pensionati, casalinghe, lavoratori part-time, extracomunitari con permesso di soggiorno e lavoratori in cassa integrazione. È finalizzato al contrasto del lavoro nero e a difendere le categorie più deboli Il numero di rapporti di lavoro a tempo indeterminato registrati nei primi 11 mesi del 2015, rispetto allo stesso periodo del 2014 (quando ci furono solo 73 mila posti). Tra i posti fissi del 2015, sono 79.581 le trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti a termine (+25,8%)
Nel mercato del lavoro italiano c’è un nuovo protagonista: mister Voucher. Lo abbiamo chiamato per regolarizzare il sommerso e lui ci è esploso in mano. Al punto di farci dubitare che si sia veramente limitato al compito che gli avevamo assegnato e non abbia, invece, fatto dell’altro.
I dati resi noti ieri dall’Inps sull’utilizzo del voucher nel 2015 sono sicuramente eclatanti:
L’utilizzo
La maggior parte è stata utilizzata nei settori del commercio, turismo e ristorazione
quegli oltre 100 milioni di buoni venduti tra gennaio e novembre con un incremento del 67,5% sull’anno precedente fanno sicuramente riflettere. E i primi commenti di parte sindacale sono stati durissimi. Luigi Sbarra segretario confederale Cisl ha parlato di «un caporalato cartaceo che piccona le tutele dei lavoratori» e la sua pari grado della Cgil, Serena