Scrittore, critico, talent scout Enzo Siciliano, genio in lista d’attesa
Il grande intellettuale ingiustamente dimenticato a dieci anni dalla scomparsa
Adieci anni dalla sua scomparsa Enzo Siciliano è un protagonista del mondo letterario in lista d’attesa. Quale posto gli spetta nella giungla troppo popolata della posterità? Enzo è morto notissimo, il giorno dopo il funerale però quanti avevano il suo nome continuamente sulle labbra hanno posto lo stesso impegno a tacere quel nome, a cancellarlo dai loro discorsi e dai loro articoli. Una delle ragioni, non la sola, di questa condotta? Con Siciliano è forse scomparsa la figura d’un personaggio tipicamente italiano: il letterato del Novecento,
raffinato scrittore, perfezionista, ipersensibile, grande conoscitore d’arte e musicomane. Un qualcheduno fatto di sterminate letture, di sofferte ambizioni, di calcoli però ingenui e di eleganti inquietudini. Un sognatore onestamente stupito di vedersi a volte vincere le battaglie della vita. Parlare con Enzo di romanzi, di poesie, di melodrammi e di quadri era un vero piacere da gustarsi in pochi amici, quando lui non era tormentato dal tarlo della mondanità.
Enzo era stato un bel ragazzo, a diciotto anni ballava benissimo il boogie-woogie, era passato all’esame di maturità con la media dell’otto, leggeva Fitzgerald e studiava filosofia teoretica con Ugo Spirito. Seguì poi le lezioni sul romanzo di Giacomo Debenedetti ma il suo vero maestro, quello che lo portò alla notorietà facendogli da editor nell’opera di esordio cioè Racconti ambigui, fu Giorgio Bassani. Una parentesi. L’autore degli Occhiali d’oro era anche uno straordinario maestro come sanno quanti si sono trovati a lavorare su un testo con lui o quanti hanno avuto il privilegio di ascoltare le sue lezioni all’Accademia d’arte drammatica. Si spera perciò che quest’anno, in occasione del centenario della nascita di Bassani, qualcuno ricorderà illustrandole a dovere le sue virtù didattiche. Se ne sa poco, quasi niente ed è un gran peccato.
Siciliano uomo pubblico? Era leggiadramente affabile e questa sua dote vestiva a festa la sua ampia e rigorosa cultura, evitandole di risultare barbosa e professorale. Così felicemente sposate affabilità e cultura contribuirono a animare durante tre decenni i più autorevoli salotti letterari romani. Senza Enzo quei salotti sarebbero stati probabilmente più arcigni e la Capitale degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta sarebbe stata meno disposta a farsi brillante, conversevole, «cenaiola».
A cena con Enzo potrebbe essere il titolo d’un film o di un romanzo, di una Festa mobile dove al posto della generazione perduta hemingwayana potrebbe figurare la generazione della Dolce Vita. Anche la Capitale della metà del secolo come la Parigi degli anni Venti ha avuto d’altronde i suoi venerabili maestri non meno che i suoi giovanotti belli e dannati. Le cene con Enzo erano uno straordinario giornale parlato, una terza pagina dove si capiva molto meglio che nelle terze pagine stampate quali sarebbero state le nuove linee di tendenza della narrativa italiana, che cosa sarebbe successo ai vertici delle case editrici e persino chi avrebbe vinto il premio Strega l’anno dopo. Enzo creava il clima giusto, quello che spingeva i convitati alla confidenza e nello stesso tempo interveniva a evitare uno stanco parlarsi addosso. Certo, è ovvio, si facevano anche molti pettegolezzi ma quasi mai banali e quasi sempre rivelatori dei costumi della Capitale fra gli anni di Mattei e la morte di Pasolini. Magari fosse stato registrato quanto veniva fuori da quelle tavolate. Si avrebbe oggi un diario-verità a più voci d’una stagione più breve d’un sogno.
Oltre a essere un critico nemico d’un certo inguaribile provincialismo nostrano, nonché un narratore fedele a un culto della narratività ancorato al Flaubert dell’Educazione sentimentale, Enzo era un prosatore interessante e oggi da rileggersi perché consapevole come pochi fra i suoi coetanei dei problemi che tormentavano già allora la lingua italiana nello sforzo di farsi nuova, aggiornata e pronta.
Qualche indiscrezione sui suoi gusti? Aveva capito benissimo James e un po’ meno Proust ma lo amava con devozione. Forse Enzo, senza confessarlo, era attratto più del giusto da Brancati mentre era un po’ avaro con Flaiano. Si beava giustamente di Landolfi esaltandone il nichilismo e si teneva lontano da Manganelli polemizzando con me che lo difendevo. Complicatissimi i suoi rapporti con Cesare Garboli.
Con Cesare e Enzo ho lavorato tutto un inverno a mettere insieme un Dizionario delle letteratura italiana, di cui riuscimmo solo a scrivere alcune voci prima di essere licenziati in tronco da Pampaloni allora leader della Vallecchi. Fu un’esperienza straordinaria e da tempo mi riprometto di scrivere una memoria sui duetti di quei miei due inconsapevoli precettori. Risultato? Quando venni assunto nella redazione d’un giornale, i dubbi istillatimi da un Garboli sferzante e da un Enzo che aveva la testa a Thomas Mann rischiarono di farmi perdere il posto. Non riuscivo a scrivere le notizie.
Esiste un terzo Siciliano da affiancare meritoriamente allo scrittore e al critico, intendo il talent scout e il promotore culturale. In questo senso credo si possa considerare Enzo una figura quasi unica nel Novecento italiano. Altri forse hanno fatto quanto o più di lui sul piano pratico. Enzo si è distinto tuttavia nei modi e nel metodo. Non parlo solo del lavoro svolto, in sintonia con Alberto Moravia, quale direttore di «Nuovi argomenti». Già l’elenco degli esordi su quella rivista ha qualcosa di inconfondibile. Emerge spontanea una linea di tendenza che cercava continuamente di superarsi e di scavalcare se stessa. In nome di un’assoluta disponibilità. Enzo però non si fermava qui. Metteva molto impegno nel favorire il dialogo dei più giovani con i maestri. Un po’ regista, un po’ fratello maggiore, un po’ padre spirituale sgombrava il campo dalle timidezze dell’educazione borghese, attivando nei più giovani il demone d’una libera conversazione ansiosa di mostrarsi intelligente, persino polemica. Quanti di noi debbono così a Enzo di aver potuto confrontare le proprie idee, i propri dubbi esponendoli a Moravia, a Pasolini, a Bertolucci, a Bassani. Di tutto questo si dovrà tenere conto, cercandogli il posto giusto nella posterità, là dove non giungano gli spifferi e le correnti d’aria della neoavanguardia e del Gruppo 63. Peccato, c’era un’incompatibilità che personalmente (chi mi ha letto lo sa) ho sempre cercato di superare.
Il carattere Era un sognatore onestamente stupito di vedersi a volte vincere le battaglie della vita