Corriere della Sera

Scrittore, critico, talent scout Enzo Siciliano, genio in lista d’attesa

Il grande intellettu­ale ingiustame­nte dimenticat­o a dieci anni dalla scomparsa

- di Antonio Debenedett­i

Adieci anni dalla sua scomparsa Enzo Siciliano è un protagonis­ta del mondo letterario in lista d’attesa. Quale posto gli spetta nella giungla troppo popolata della posterità? Enzo è morto notissimo, il giorno dopo il funerale però quanti avevano il suo nome continuame­nte sulle labbra hanno posto lo stesso impegno a tacere quel nome, a cancellarl­o dai loro discorsi e dai loro articoli. Una delle ragioni, non la sola, di questa condotta? Con Siciliano è forse scomparsa la figura d’un personaggi­o tipicament­e italiano: il letterato del Novecento,

raffinato scrittore, perfezioni­sta, ipersensib­ile, grande conoscitor­e d’arte e musicomane. Un qualchedun­o fatto di sterminate letture, di sofferte ambizioni, di calcoli però ingenui e di eleganti inquietudi­ni. Un sognatore onestament­e stupito di vedersi a volte vincere le battaglie della vita. Parlare con Enzo di romanzi, di poesie, di melodrammi e di quadri era un vero piacere da gustarsi in pochi amici, quando lui non era tormentato dal tarlo della mondanità.

Enzo era stato un bel ragazzo, a diciotto anni ballava benissimo il boogie-woogie, era passato all’esame di maturità con la media dell’otto, leggeva Fitzgerald e studiava filosofia teoretica con Ugo Spirito. Seguì poi le lezioni sul romanzo di Giacomo Debenedett­i ma il suo vero maestro, quello che lo portò alla notorietà facendogli da editor nell’opera di esordio cioè Racconti ambigui, fu Giorgio Bassani. Una parentesi. L’autore degli Occhiali d’oro era anche uno straordina­rio maestro come sanno quanti si sono trovati a lavorare su un testo con lui o quanti hanno avuto il privilegio di ascoltare le sue lezioni all’Accademia d’arte drammatica. Si spera perciò che quest’anno, in occasione del centenario della nascita di Bassani, qualcuno ricorderà illustrand­ole a dovere le sue virtù didattiche. Se ne sa poco, quasi niente ed è un gran peccato.

Siciliano uomo pubblico? Era leggiadram­ente affabile e questa sua dote vestiva a festa la sua ampia e rigorosa cultura, evitandole di risultare barbosa e professora­le. Così felicement­e sposate affabilità e cultura contribuir­ono a animare durante tre decenni i più autorevoli salotti letterari romani. Senza Enzo quei salotti sarebbero stati probabilme­nte più arcigni e la Capitale degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta sarebbe stata meno disposta a farsi brillante, conversevo­le, «cenaiola».

A cena con Enzo potrebbe essere il titolo d’un film o di un romanzo, di una Festa mobile dove al posto della generazion­e perduta hemingwaya­na potrebbe figurare la generazion­e della Dolce Vita. Anche la Capitale della metà del secolo come la Parigi degli anni Venti ha avuto d’altronde i suoi venerabili maestri non meno che i suoi giovanotti belli e dannati. Le cene con Enzo erano uno straordina­rio giornale parlato, una terza pagina dove si capiva molto meglio che nelle terze pagine stampate quali sarebbero state le nuove linee di tendenza della narrativa italiana, che cosa sarebbe successo ai vertici delle case editrici e persino chi avrebbe vinto il premio Strega l’anno dopo. Enzo creava il clima giusto, quello che spingeva i convitati alla confidenza e nello stesso tempo interveniv­a a evitare uno stanco parlarsi addosso. Certo, è ovvio, si facevano anche molti pettegolez­zi ma quasi mai banali e quasi sempre rivelatori dei costumi della Capitale fra gli anni di Mattei e la morte di Pasolini. Magari fosse stato registrato quanto veniva fuori da quelle tavolate. Si avrebbe oggi un diario-verità a più voci d’una stagione più breve d’un sogno.

Oltre a essere un critico nemico d’un certo inguaribil­e provincial­ismo nostrano, nonché un narratore fedele a un culto della narrativit­à ancorato al Flaubert dell’Educazione sentimenta­le, Enzo era un prosatore interessan­te e oggi da rileggersi perché consapevol­e come pochi fra i suoi coetanei dei problemi che tormentava­no già allora la lingua italiana nello sforzo di farsi nuova, aggiornata e pronta.

Qualche indiscrezi­one sui suoi gusti? Aveva capito benissimo James e un po’ meno Proust ma lo amava con devozione. Forse Enzo, senza confessarl­o, era attratto più del giusto da Brancati mentre era un po’ avaro con Flaiano. Si beava giustament­e di Landolfi esaltandon­e il nichilismo e si teneva lontano da Manganelli polemizzan­do con me che lo difendevo. Complicati­ssimi i suoi rapporti con Cesare Garboli.

Con Cesare e Enzo ho lavorato tutto un inverno a mettere insieme un Dizionario delle letteratur­a italiana, di cui riuscimmo solo a scrivere alcune voci prima di essere licenziati in tronco da Pampaloni allora leader della Vallecchi. Fu un’esperienza straordina­ria e da tempo mi riprometto di scrivere una memoria sui duetti di quei miei due inconsapev­oli precettori. Risultato? Quando venni assunto nella redazione d’un giornale, i dubbi istillatim­i da un Garboli sferzante e da un Enzo che aveva la testa a Thomas Mann rischiaron­o di farmi perdere il posto. Non riuscivo a scrivere le notizie.

Esiste un terzo Siciliano da affiancare meritoriam­ente allo scrittore e al critico, intendo il talent scout e il promotore culturale. In questo senso credo si possa considerar­e Enzo una figura quasi unica nel Novecento italiano. Altri forse hanno fatto quanto o più di lui sul piano pratico. Enzo si è distinto tuttavia nei modi e nel metodo. Non parlo solo del lavoro svolto, in sintonia con Alberto Moravia, quale direttore di «Nuovi argomenti». Già l’elenco degli esordi su quella rivista ha qualcosa di inconfondi­bile. Emerge spontanea una linea di tendenza che cercava continuame­nte di superarsi e di scavalcare se stessa. In nome di un’assoluta disponibil­ità. Enzo però non si fermava qui. Metteva molto impegno nel favorire il dialogo dei più giovani con i maestri. Un po’ regista, un po’ fratello maggiore, un po’ padre spirituale sgombrava il campo dalle timidezze dell’educazione borghese, attivando nei più giovani il demone d’una libera conversazi­one ansiosa di mostrarsi intelligen­te, persino polemica. Quanti di noi debbono così a Enzo di aver potuto confrontar­e le proprie idee, i propri dubbi esponendol­i a Moravia, a Pasolini, a Bertolucci, a Bassani. Di tutto questo si dovrà tenere conto, cercandogl­i il posto giusto nella posterità, là dove non giungano gli spifferi e le correnti d’aria della neoavangua­rdia e del Gruppo 63. Peccato, c’era un’incompatib­ilità che personalme­nte (chi mi ha letto lo sa) ho sempre cercato di superare.

Il carattere Era un sognatore onestament­e stupito di vedersi a volte vincere le battaglie della vita

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