«Manhattan», serie sulla bomba atomica senza emozioni
Ci sono opere così ben fatte che rischiano di non lasciarti entrare dentro, come se esistesse una barriera di protezione, qualcosa che impedisce l’empatia. Manhattan (Sky Atlantic, lunedì) è certamente uno dei migliori prodotti della stagione, ma è una serie che non scalda il cuore.
New Mexico, estate 1943. Roosevelt mette insieme una squadra speciale composta dai migliori scienziati del mondo e li manda a Los Alamos per una missione top secret, il «Progetto Manhattan». Si tratta di costruire una bomba atomica, per affinare l’intuizione di Fermi sulla reazione a catena e la sua applicabilità come arma. Siamo nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, la paura nei confronti della Germania nazista è palpabile, il progetto una gara contro il tempo. La serie è prodotta dalla Lionsgate ( Mad Men), diretta da Schlamme ( The West Wing) e scritta da Shaw ( Masters of Sex). Niente male come biglietto da visita. Il racconto si snoda fra le abitazioni, costruite in fretta e furia, del Los Alamos National Laboratory.
Gli scienziati e le loro famiglie sono costretti a vivere in massima segretezza e con rigidi controlli militari per prevenire fughe di informazioni. Sono isolati dal mondo( e l’ atmosfera concentra zio nari a è forse l’aspetto più riuscito), impegnati in una corsa contro il tempo per fornire al governo statunitense un ordigno nucleare prima che le forze nemiche riescano a svilupparne uno. La storia ruota attorno a Frank Winter, interpretato da John Benjamin Hickey, lo scienziato che guida uno dei programmi principali del progetto, personaggio vagamente basato su Seth Neddermeyer, e a sua moglie Liza Winter (Olivia Williams), ex botanica con un passato oscuro alle spalle. Recitazione impeccabile, ricostruzione storica senza sbavature, narrazione piena di tensione, ma alla fine manca qualcosa. Forse il pathos, forse la capacità di trasformare una vecchia foto in un romanzo drammatico e sorprendente.