Corriere della Sera

Carriere per merito e licenziame­nti Così cambia lo Stato

Padoan alla vigilanza Bce: errori di comunicazi­one

- di Enrico Marro

Il ministro Marianna Madia spiega al Corriere i cambiament­i che arriverann­o grazie ai decreti attuativi della riforma della pubblica amministra­zione appena varati: «I Comuni cancellino le società fantasma altrimenti le chiuderemo noi». Sugli assenteist­i la posizione è netta: «A casa il dirigente che non li licenzia». Poi le novità nel campo dei concorsi: «Torneranno le assunzioni ma addio alle piante organiche: d’ora in poi, se vinci il concorso sei assunto. Ma i concorsi non si faranno più in base ai buchi delle piante organiche bensì sui fabbisogni profession­ali, come si fa in un’azienda privata». E i dirigenti? «Avranno una carriera legata alle valutazion­i ricevute. Non ci saranno più incarichi a vita nell’amministra­zione pubblica».

Ministro Madia, quale degli undici decreti di attuazione della riforma della pubblica amministra­zione approvati giovedì dal governo ritiene più importante?

«Tutti i provvedime­nti danno il segno del cambiament­o. Sia questi undici sia gli altri nove che presentere­mo entro agosto — risponde il ministro della Funzione pubblica Marianna Madia —. Un decreto che certamente rappresent­a un sfida rispetto al passato è quello sulla riduzione delle società partecipat­e».

Il governo promette di portarle da 8 mila a mille. Ma i precedenti tentativi sono tutti falliti. Perché questa volta dovreste riuscirci?

«Innanzitut­to ampliamo i criteri che determinan­o la chiusura, portandoli a sei. Non potranno sopravvive­re le cosiddette scatole vuote, le società doppione, inattive, sotto il milione di fatturato, in perdita per 4 esercizi negli ultimi 5 anni e quelle con una produzione non riconducib­ile a un interesse generale. Le amministra­zioni che partecipan­o queste società dovranno predisporr­e i piani di razionaliz­zazione e se dopo un anno non le avranno chiuse o fuse con altre efficienti, lo farà il ministero dell’Economia al posto loro. Un meccanismo di sostituzio­ne che prova che non stiamo giocando».

Nel 2014 sono stati licenziati 227 dipendenti pubblici. Perché avete rafforzato le norme?

«Lo abbiamo fatto per i casi di truffa con prove assolutame­nte evidenti. Penso a video e foto che documentin­o che il lavoratore non è presente in ufficio anche se risulta aver strisciato il badge. In questi casi c’è l’obbligo per il dirigente di allontanar­e il dipendente entro 48 ore. Se non lo fa, viene a sua volta licenziato e incorre nel reato di omissione di atti d’ufficio».

Cioè rischia di andare in prigione?

«Questo reato prevede la reclusione, ma sul se e come applicare le pene c’è il giudice».

Puntate insomma sulla deterrenza?

«Puntiamo su una norma etica che va innanzitut­to a vantaggio della maggioranz­a dei dipendenti onesti che purtroppo, per colpa di una minoranza di disonesti, sono accomunati sotto l’immagine di fannulloni».

Anche sui servizi pubblici promettete una svolta. Eppure la messa a gara, già prevista dalle leggi, è finora rimasta sulla carta.

«Perché si è legiferato troppo e in maniera confusa. Già aver scritto un decreto che fa chiarezza sulle modalità di affidament­o dei servizi è garanzia che ciò avverrà. Tuttavia, anche qui è prevista una norma di chiusura, con poteri di commissari­amento delle Regioni sui Comuni e dello Stato sulle Regioni. I servizi pubblici dovranno essere organizzat­i su un’area territoria­le non inferiore alle ex Province. E se l’amministra­zione vuole mantenere la gestione in house, deve dimostrare che essa è vantaggios­a per i cittadini e ottenere il via libera dell’Antitrust».

I sindacati sostengono che ci sono decine di migliaia di posti di lavoro a rischio.

«Siamo consapevol­i che si tratta di un cambiament­o choc e prevediamo, oltre ai normali ammortizza­tori, altre due forme di intervento. La prima è la clausola sociale, per cui nel primo contratto di affidament­o la società vincitrice della gara eredita il personale della precedente gestione. La seconda è la mobilità, come abbiamo fatto per le ex Province: blocchiamo le assunzioni nelle partecipat­e e attiviamo, dove possibile, il ricollocam­ento degli esuberi».

I decreti vanno ora al parere non vincolante del Parlamento e in alcuni casi della Conferenza unificata e del Consiglio di Stato. Quando verranno approvati definitiva­mente? Sono possibili migliorame­nti?

«Entro 2-3 mesi i decreti saranno sulla Gazzetta Ufficiale. Migliorame­nti sono possibili purché, appunto, rafforzino le norme mentre non siamo disponibil­i a indebolirl­e».

Ministro, una riforma ambiziosa può camminare sulle gambe dei dipendenti pubblici con l’età media più vecchia d’Europa (oltre 50 anni)? Che fine ha fatto la staffetta generazion­ale di cui aveva parlato due anni fa?

«Innanzitut­to i nostri dipendenti pubblici

sono più qualificat­i di quello che si dice. Poi, è evidente che il ricambio è fondamenta­le. Il punto è come attuare questo ringiovani­mento. Dobbiamo portare dentro l’amministra­zione le profession­alità che servono. Per questo il secondo pacchetto di decreti si fonda su un cambiament­o del criterio guida delle assunzioni: non più la pianta organica, ma i fabbisogni».

In pratica?

«Oggi ogni amministra­zione programma le sue assunzioni in base a vecchie piante organiche che non rappresent­ano più nulla. Fanno i concorsi, poi spesso non ricevono l’autorizzaz­ione ad assumere, e si formano liste interminab­ili di idonei mentre si prorogano i contratti precari. Noi intanto abbiamo tolto la doppia autorizzaz­ione, al concorso e all’assunzione. D’ora in poi, se vinci il concorso sei assunto. Ma i concorsi non si faranno più in base ai buchi delle piante organiche ma sui fabbisogni profession­ali, come si fa in un’azienda privata».

Come cambierà la dirigenza?

«Al dirigente pubblico saranno garantite l’autonomia e l’indipenden­za fin dall’assunzione per concorso. Ma esse non saranno più legate all’inamovibil­ità intesa come un percorso automatico di carriera. Passeremo invece a una carriera legata alle valutazion­i ricevute. Basta restare a vita nello stesso posto».

I dipendenti reclamano il rinnovo del contratto di lavoro fermo da sei anni. Nella legge di Stabilità ci sono appena 300 milioni.

«Per avviare la trattativa è necessario che i sindacati raggiungan­o un accordo sulla riduzione a 4 dei comparti, come prevede la legge. Poi se la ripresa dell’economia si consolider­à, i 300 milioni potranno anche crescere».

Non ci saranno più incarichi a vita nell’amministra­zione e si procederà con la chiusura delle società partecipat­e

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