UNA BATTUTA È L’ULTIMO REGALO DI SCOLA
Il commiato di Scola. La scena è questa, vivida, in apparenza casuale. Massimo D’Alema si è appena recato a porgere l’ultimo saluto a Ettore Scola, nella camera ardente allestita alla Casa del Cinema di Roma. Fuori lo attendono i cronisti. Si sa come vanno queste cose. Davanti a una telecamera si omaggia il defunto, ma soprattutto si omaggia se stessi: io lo conoscevo bene, mi chiamava sempre, ricordo quella volta... D’Alema non si sottrae, si schiarisce la voce e attacca: «Ettore era appassionato,
D’Alema Al funerale del regista l’ex premier su Renzi: «Perché, c’era anche lui?»
intelligente, ironico e anche capace di cogliere le debolezze e gli snobismi degli italiani...». Un cronista lo insegue, gli chiede di Matteo Renzi che poco prima ha tributato il medesimo omaggio. D’Alema risponde in fretta: «Perché, c’era Renzi?».
C’eravamo tanto amati. È una buona battuta, bisogna ammetterlo, da repertorio del defunto. All’improvviso D’Alema non è più D’Alema, ma diventa un personaggio di un film di Scola, con i tratti caratteriali, se non fisiognomici, di Mario, il comunista de La terrazza, quello che diceva «Come si era felici quand’eravate tutti imbecilli!».
La battuta di D’Alema è forse l’ultimo regalo di Scola, giusto per artigliare la retorica di queste cerimonie, la passerella dei soliti noti. Eccolo l’ex presidente del Consiglio che si allontana, felicemente trasfigurato nel ruolo che fu di Vittorio Gassman: «Ormai siamo tutti così: personaggi drammatici che si manifestano solo comicamente».