Bloomberg scende in campo
L’ex sindaco di New York pensa di candidarsi. Sarà il terzo incomodo tra Hillary e Trump?
L’ex sindaco di New York, uno degli uomini più ricchi e influenti degli Usa, si prepara a sfidare Donald Trump e Hillary Clinton.
NEW YORK Per molti newyorkesi è ancora «il sindaco». Per l’establishment politico, una mina vagante. Michael Bloomberg, miliardario, editore, filantropo, sta «pensando seriamente» di candidarsi per la presidenza degli Stati Uniti. L’indiscrezione è stata rilanciata ieri dal New York Times, ma le voci corrono da diverse settimane. Il 12 gennaio scorso, per esempio, la Cnn aveva dato per imminente l’annuncio.
Finora Bloomberg ha sempre negato ogni interesse per la Casa Bianca. Ma stavolta le notizie sono più circostanziate. L’imprenditore ha commissionato un sondaggio a dicembre per capire se esiste uno spazio politico nel caso in cui, come oggi sembra probabile, a contendersi restassero Hillary Clinton e Donald Trump.
I due favoriti non convincono fino in fondo i rispettivi bacini elettorali. Larghe fasce di democratici vivono con insofferenza quella che considerano una successione dinastica: prima Bill ora la moglie Hillary. E il partito repubblicano è sempre più sfilacciato, costretto a inseguire l’imprevedibilità di Trump e l’estremismo conservatore di Ted Cruz.
Bloomberg, 73 anni, sarebbe un candidato atipico, ma che nessuno potrebbe sottovalutare. Il suo percorso politico lo ha portato nel tempo in un territorio terzo rispetto agli schieramenti tradizionali. Ha fatto parte dei democratici fino al 2001, poi è passato con i repubblicani con cui è stato eletto alla guida di New York. Poi ha rotto anche con i repubblicani e da allora si è sempre mosso da indipendente. E’ molto conosciuto nel Paese, dopo aver amministrato per tre mandati, dal 2002 al 2013, New York, la città vetrina degli Stati Uniti. Può contare su una fitta rete di collegamenti nel mondo finanziario, ricaduta naturale del suo ruolo di fondatore del gruppo editoriale che porta il suo nome, polo importante dell’informazione economica.
Inoltre Bloomberg è ricco, più ricco anche di Trump. La rivista Forbes gli accredita un patrimonio personale pari a circa 35, 5 miliardi di dollari, collocandolo al quattordicesimo posto nella classifica delle persone più facoltose del pianeta. La ricchezza di Trump è stimata da diverse fonti tra i 2,9 e i 9 miliardi di dollari.
Questo significa che il politico-imprenditore può dialogare con tutti, ma non ha bisogno di nessuno. Secondo il New York Times sarebbe disponibile a stanziare 1 miliardo di dollari per finanziare la sua corsa alla Casa Bianca.
Infine Bloomberg si presenta con un profilo popolare. Quando era sindaco, per esempio, andava in ufficio in metropolitana: dettagli che contano in una società come quella statunitense.
Nato a Boston da una famiglia di immigrati ebrei, di nazionalità russa. Studi all’Università John Hopkins e poi ad Harvard. Nel 1972 comincia come partner della finanziaria Salomon Brothers. Nel 1981 si mette in proprio. Poi la lunga parentesi politico-amministrativa e, negli ultimi anni, l’impegno personale su cambiamento climatico e lotta alla povertà. Ragionamenti e, soprattutto soldi, tanti soldi.
Nel gennaio del 2015 stanzia 48 milioni per lanciare l’iniziativa «Clean Energy», energia pulita, in partnership con la famiglia Heising-Simons. E ancora 200 milioni per la costruzione di nuovi padiglioni nel Johns Hopkins Hospital. E così via: l’elenco è lungo.
Bloomberg ha costituito un’associazione, l’Everytown for Gun Safety che si è contrapposta duramente alla National Rifle Association, la lobby dei fabbricanti di fucili e pistole, tra le più potenti d’America. L’editore appoggia in pieno i provvedimenti adottati dal presidente Barack Obama per contrastare la facilità di circolazione delle armi.
E’ una posizione che lacera l’opinione pubblica. Così come seminano divisioni le sue idee liberal a favore dell’aborto e dei matrimoni tra omosessuali. Anche per questo Bloomberg starebbe valutando quali margini politici potrebbero liberarsi dopo il ciclo delle primarie che cominciano il primo febbraio.
Se Donald Trump dovesse risultare il favorito per la nomination repubblicana, resterebbe scoperta tutta l’area moderata. E se Hillary Clinton dovesse faticare, sarebbe la dimostrazione che il malessere nel partito democratico è profondo. L’ex sindaco si è dato un mese per decidere.