Corriere della Sera

La forza della natura nel Paese ipermodern­o

- Di Matteo Persivale 4 5 6

enorme successo di Revenant, con le 12 nomination all’Oscar per il film in cui il pioniere Leonardo DiCaprio lotta contro gli elementi risulta un po’ meno strano davanti alle immagini di «Jonas» e dell’America assediata dalla bufera di neve: perché per caratteris­tiche geografich­e, prima ancora che per storia e cultura, lo scontro con le condizioni estreme del meteo — con la natura — è profondame­nte americano.

La nazione che più di tutte, nell’ultimo secolo, ha scommesso sulla tecnologia e sul progresso — e vinto — è anche quella che più di tutte nel mondo industrial­izzato è costretta a fare i conti con tempeste di neve (in Canada per esempio non succede: è troppo a nord e la stragrande maggioranz­a della popolazion­e vive lungo le due coste, al contrario di quel che succede negli Usa), e ondate di calore. Manifestaz­ioni clamorose della forza degli elementi capaci di coinvolger­e decine di milioni di persone per volta.

Negli Stati Uniti succede che una città si fermi per il ghiaccio, finisca sepolta da tre metri di neve oppure — per esempio in Minnesota — capita che l’allarme scatti soltanto dai quaranta gradi centigradi sottozero in giù (al di sopra, è abbastanza normale).

È una storia vecchia come l’America che ci raccontano i filosofi (Emerson, Thoreau), gli scrittori (London, Hemingway), i pittori (da Hopper alle visioni pastorali di Andrew Wyeth), i registi (tutti quelli dell’epopea del West, e in questi anni Malick).

«Al cospetto della natura, una gioia travolgent­e attraversa il cuore degli uomini, cancelland­o i dolori del mondo. La natura ci dice: siete le mie creature, e a dispetto di tutti i vostri irriguardo­si dolori, in me troverete la gioia», scriveva Ralph Waldo Emerson, in un pamphlet intitolato Nature, 1836.

La pastorale molto Americana della nazione fondata sull’espansione a ovest, sulla Frontiera (come cantava Woody Guthrie, «dalla California all’isola di New York / dalla foresta di sequoia / alle acque del Golfo...»). Una nazione che ha impiegato un secolo e mezzo prima di prendere l’aspetto geografico che conosciamo oggi: è utile ricordare che gli Stati Uniti sono nati nel 1776 composti da soli 13 Stati del nordest, e da allora si sono espansi verso sud e ovest, attraverso il continente, fino ad arrivare soltanto nel 1912 (con l’ingresso di New Mexico e Arizona) a contenere tutto il territorio dall’Oceano Atlantico al Pacifico (nel 1959 si aggiunsero Alaska e Hawaii, gli unici due a non avere contiguità territoria­le con altri membri dell’Unione), da costa a costa.

Terrence Malick, il poeta della Natura del cinema americano di oggi, che sceglie un lago salato nello Utah per filmare il Paradiso, nell’incipit del suo Il nuovo mondo sull’amore di Pocahontas per il colono John Rolfe, ha individuat­o quella che pensandoci bene era l’unica musica possibile per accompagna­re i velieri inglesi che vedono, all’orizzonte, le coste della Virginia: il preludio dell’Oro del Reno, di Richard Wagner. Il singolo accordo lungo 136 battute — quasi cinque minuti — che racconta, con un Mi bemolle maggiore che scaturisce lentamente dal silenzio prima della Creazione, la genesi del mondo.

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