«Design italiano e hi-tech, i nostri piani per Pininfarina»
Gurnani (TechMahindra): resterà indipendente e quotata a Milano
Innovazione Ci dobbiamo concentrare sulle persone, perché il cambiamento sarà permanente
DAVOS «Perché abbiamo comprato Pininfarina? Rappresenta il meglio del design e dello stile, è una casa del bello con alle spalle una storia di 85 anni, uno dei marchi più conosciuti non solo per le automobili, ma anche per i prodotti industriali. TechMahindra è un’azienda di design industriale, specializzata in ingegneria funzionale. Ci è sembrato naturale unire funzione e forma, per offrire ai nostri clienti in tutto il mondo un pacchetto completo, sia che si
tratti di uno smartphone, di un tablet o di un palazzo», sostiene CP Gurnani, ceo di TechMahindra, azienda indiana con sede a Mumbai, 3,9 miliardi di dollari di fatturato e 780 clienti, tra cui Bt, Volvo e Bombardier (in Italia figurano tra gli altri Vodafone, Italtel e Generali).
L’acquisizione di Pininfarina, per circa 25 milioni di euro più l’indebitamento, è stata annunciata lo scorso 15 dicembre: a che punto siete?
« Sono stato due volte al quartier generale in Italia. Ma Mr. Gupta, il nostro responsabile degli ingegneri per l’Europa, trascorre una settimana al mese in Pinifarina per individuare aree di interesse potenziale. Passa molto tempo con Silvio Angori, che resterà l’amministratore delegato e con Paolo Pininfarina, che rimarrà il presidente. Pininfarina è uno degli orgogli nazionali, e noi rispetteremo la sua indipendenza, così come la lasceremo quotata a Milano».
TechMahindra opera in 20 Paesi europei: è spaventato dalla grande volatilità e incertezza che agita i mercati del continente?
«Ogni volta che crediamo che una crisi sia risolta, succede qualcos’altro. Temo che volatilità e incertezza continueranno. Questo ha un impatto sul business, ma offre anche opportunità perché noi ci concentriamo su due aree: la trasformazione digitale e il miglioramento della metrica operativa, quindi su crescita e redditività».
Quest’anno il tema centrale del World Economic Forum di Davos è imparare a governare la quarta rivoluzione industriale, la trasformazione tecnologica che mescola e unisce il mondo fisico, digitale e biologico. Quali le conseguenze per aziende, prodotti e prezzi?
«Il ciclo del prodotto si è ridotto drasticamente e questo comporta l’obsolescenza produttiva. In secondo luogo, a causa della concorrenza di un commercio senza più frontiere, i prezzi sono diventati molto competitivi in tutto il mondo. Ma i prodotti di lusso continueranno ad avere un premium, un prezzo più alto. Perché il lusso resta immune? È una questione psicologica: tutti aspiriamo a indossare una cravatta di Hermes». (Gurnani ne sfoggia una color bordeaux, ndr;)
Quale sarà il motore della crescita del futuro?
«Persone e tecnologia. Ci dobbiamo concentrare innanzitutto sulle persone, perché il cambiamento dell’industria sarà così grande che avremo bisogno di persone con capacità e skills per governarlo. Poi dobbiamo convincerci che il cambiamento toccherà tutti i settori, dal retail al manifatturiero. Se riusciremo ad anticipare i cambiamenti, potremo disporre delle tecnologie giuste con le persone giuste».
La tecnologia fa risparmiare forza lavoro. Lei immagina un futuro con sempre meno posti di lavoro?
«La domanda cruciale è: l’intelligenza artificiale è meglio dell’intelligenza umana? Francamente non lo so. So però che abbiamo sempre avuto cambiamenti nella nostra storia. L’automobile ha sostituito la carrozza e i cavalli. È vero, ora il ritmo del cambiamento è esponenziale e dobbiamo imparare a cambiare in fretta per non diventare storia».
C’è speranza per un’Europa riluttante e lenta al cambiamento?
«L’Europa resta la patria di grande tecnologia e innovazione, dal settore tessile a quello automobilistico. C’è molta esperienza e anche grandi capacità, per questo credo che abbia enormi opportunità per continuare a reinventare se stessa».
La caduta del prezzo del petrolio e delle materie prime ha indebolito le economie emergenti, e questo contribuisce a creare incertezza tra gli investitori. Come sta l’India?
«L’India è uno dei pochi Paesi che va bene, cresce del 7,5% anche grazie al calo del prezzo del petrolio, di cui siamo importatori netti».