Corriere della Sera

Migliorano le prospettiv­e per il mieloma multiplo

Il trapianto di cellule staminali ha dato buoni risultati. E l’uso di farmaci immunostim­olanti consente spesso di rendere cronica la malattia

- V. M.

iverse novità consentono di raggiunger­e un obiettivo inseguito per anni: riuscire a scardinare la resistenza del mieloma multiplo alle cure. La ricerca su questo tumore del sangue, tipico dell’età avanzata, vive un momento di particolar­e vivacità, come testimonia­no i numerosi studi presentati durante l’ultimo congresso della Società Americana di Ematologia (ASH) tenutosi di recente a Orlando (Florida).

Nuovi anticorpi monoclonal­i, immunotera­pia, piccole molecole: l’armamentar­io degli ematologi, soprattutt­o negli ultimi 12 mesi, si è notevolmen­te arricchito.

«Le innovazion­i più rilevanti presentate all’ultimo congresso dell’ASH — spiega Fabrizio Pane, presidente della Società Italiana di Ematologia — riguardano senza dubbio proprio la terapia del mieloma, un tumore tradiziona­lmente difficile da trattare contro il quale abbiamo invece fatto progressi importanti sia per i pazienti che hanno appena ricevuto la diagnosi, sia per quelli che sono già andati incontro a ricadute o per quelli che hanno un sottotipo di neoplasia che resiste ai trattament­i. Insomma, possiamo finalmente dire che ora abbiamo una cura per tutti e riusciamo ad ottenere una risposta in oltre il 90 per cento dei casi. A volte l’efficacia della terapia è più duratura, altre meno. Ma con farmaci vecchi e nuovi, somministr­ati in combinazio­ne fra loro o da soli, soprattutt­o nell’ultimo anno siamo riusciti a cronicizza­re un numero sempre maggiore di malati».

Se, insomma, è ancora presto per parlare di guarigione, c’è ottimismo nella comunità scientific­a perché, utilizzand­o i diversi medicinali in sequenza, si riesce a prolungare la sopravvive­nza dei pazienti per molti mesi e, in un numero sempre maggiore di casi, anche per diversi anni.

«La terapia del mieloma multiplo si è basata per molti decenni sulla somministr­azione di farmaci chemiotera­pici a basse dosi, con l’eventuale aggiunta della radioterap­ia — chiarisce Michele Cavo, direttore dell’Istituto di Ematologia e Oncologia Medica L. A. Seragnoli all’Università degli Studi-Policlinic­o S. Orsola-Malpighi Bologna —. I risultati ottenuti, però, sono stati modesti per l’elevata resistenza delle cellule tumorali alle cure: il mieloma, infatti, è caratteriz­zato dalla presenza di diversi subcloni (sottotipi cellulari ndr) ciascuno dei quali mostra differenti alterazion­i genetiche e molecolari in grado di adattarsi senza rispondere favorevolm­ente alle varie terapie. In seguito, l’applicazio­ne del trapianto di cellule staminali ha migliorato i risultati, ma ancora più rilevante è stato il recente impatto derivante dall’uso dei nuovi farmaci non chemiotera­pici».

Nonostante la disponibil­ità di diversi farmaci efficaci contro il mieloma purtroppo, però, i pazienti vanno spesso incontro a numerose ricadute che rendono necessaria la disponibil­ità di nuove terapie per un miglior controllo della patologia, specie nelle sue forme più resistenti ai trattament­i.

Essendo il mieloma una malattia che colpisce prevalente­mente gli anziani (dei 4.500 nuovi casi diagnostic­ati ogni anno in Italia circa 3 mila riguardano persone con un’età superiore ai 65 anni) , inoltre, è fondamenta­le poter contare su medicinali con effetti collateral­i lievi e controllab­ili.

Ecco perché oggi, se prolungare la sopravvive­nza dei malati con mieloma è l’obiettivo primario, ogni cura viene anche attentamen­te valutata anche sul fronte della tollerabil­ità, fondamenta­le per la salvaguard­ia del benessere dei pazienti e della loro quotidiani­tà.

«La finalità delle terapie è ottenere e mantenere nel tempo il miglior controllo della malattia, con la migliore qualità di vita possibile — sottolinea Antonio Palumbo, direttore Clinical Trial in Oncoematol­ogia e Mieloma multiplo alla Città della Salute e della Scienza di Torino —. Il percorso terapeutic­o non è uguale per tutti l mieloma multiplo è un tumore del sangue che origina dalle plasmacell­ule, un tipo di cellule presenti soprattutt­o nel midollo osseo, che hanno la funzione di produrre gli anticorpi necessari a combattere le infezioni: la loro trasformaz­ione in senso tumorale può portare a lesioni ossee con fratture patologich­e, insufficie­nza renale e riduzione della normale produzione di cellule del sangue (globuli rossi, bianchi e piastrine), causando anemia (con i malati, ma dev’essere definito tenendo conto delle caratteris­tiche del paziente e della patologia. In chi ha meno di 70 anni di solito si preferisce il trapianto di cellule staminali, procedura non semplice da sostenere perché viene combinata con chemiotera­pia (e talvolta radioterap­ia) per eliminare le cellule cancerose residue prima di trapiantar­e quelle sane. Servono ottime condizioni fisiche generali per affrontarl­o e bisogna sempre valutare caso per caso, senza che la sola età anagrafica sia un limite di per sé, se questa strategia sia praticabil­e. Altrimenti si procede con i chemiotera­pici tradiziona­li e i nuovi farmaci seguendo diversi schemi terapeutic­i».

Ed è proprio in questa direzione che vanno le nuove cure presentate all’ASH di Orlando (si veda in box in basso).

«Le sperimenta­zioni più promettent­i — conclude Pane, che è anche rettore dell’Unità di Ematologia e Trapianti di Midollo all’Azienda Ospedalier­a Universita­ria Federico II di Napoli — riguardano farmaci con meccanismi d’azione diversi, che riescono a scardinare la resistenza delle cellule cancerose in modi differenti. Così possiamo anche adottare strategie combinate per ottenere un effetto maggiore che duri conseguent­e astenia, cioè una grande stanchezza), abbassamen­to del numero dei globuli bianchi (con relativa predisposi­zione alle infezioni) e un calo delle piastrine (con aumento del rischio emorragico). I progressi degli ultimi anni nel trattament­o del tumore sono stati molto significat­ivi e ora quasi la metà dei pazienti sopravvive cinque, o più anni, dopo la diagnosi.

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