Corriere della Sera

Ma l’Italia può agire solo con il sì di Tobruk

Palazzo Chigi aspetta che si formi il governo di unità nazionale: «Non vogliamo una nuova Somalia»

- Marco Galluzzo

I piani di intervento della Difesa sono pronti da giorni, ma a Palazzo Chigi la posizione ufficialme­nte non cambia, nessun intervento in Libia se non si forma un governo di unità nazionale, che a sua volta chiede ufficialme­nte aiuto.

Ieri mattina si è tenuta una riunione del governo proprio in materia di sicurezza: hanno partecipat­o il ministro Alfano, il sottosegre­tario Minniti, il premier Renzi e i capigruppo di maggioranz­a. È emersa la preoccupaz­ione per le difficoltà e gli stop nella formazione del governo libico, ma anche la convinzion­e che quella di una stabilizza­zione politica, prima di ogni cosa, sia ancora la strada maestra, prima di ogni intervento militare.

«Non possiamo permetterc­i di avere una nuova Somalia a 400 chilometri dai confini di casa nostra», ha detto nel corso della riunione Marco Minniti, che nel governo ha la delega per gli apparati di intelligen­ce.

Di sicuro un conto alla rovescia è partito: le notizie che arrivano dalla Libia sono in parte contraddit­torie, ma dentro una scia che lascia trasparire ottimismo; alla fine, sono convinti a Palazzo Chigi, il nuovo governo libico riuscirà a decollare, «e bisognerà vedere cosa chiederann­o in concreto, non è detto che ci chiedano di bombardare, dato anche il grande orgoglio nazionale».

Insomma una missione militare viene data per scontata, si spera quanto più ravvicinat­a possibile, con quali modalità è ancora da definire.

Di sicuro l’Italia potrebbe trovarsi a fronteggia­re una situazione delicata. Ieri il New York Times ha confermato le indiscrezi­oni degli ultimi giorni: reparti di élite americani, inglesi e francesi, sarebbero già sul terreno libico, con ruoli di ricognizio­ne, ma al Pentagono stanno accelerand­o sui piani operativi di eventuali bombardame­nti, preoccupat­i per il rafforzame­nto dell’Isis a Sirte e in altre centri.

In un editoriale il quotidiano americano scrive che il Pentagono sta già intensific­ando la raccolta di dati di intelligen­ce che serviranno per avviare nelle prossime settimane «una campagna militare che dovrebbe comprender­e bombardame­nti aerei e raid delle forze di elite americane». Il quotidiano parla di «significat­iva escalation», ma allo stesso tempo mette in evidenza «i rischi di una campagna militare», che «rappresent­erebbe una importante progressio­ne di una guerra che potrebbe facilmente allargarsi ad altri Paesi della regione».

Scrive ancora il Nyt: l’Italia è «pronta» a «fornire un contributo rilevante» alla coalizione militare, assumendo «un ruolo-guida». Ma in che termini questo contributo si concretizz­erà — scriveva ieri l’Ansa, citando una fonte della Difesa — «è ancora presto per dirlo. Diverse opzioni sono sul tavolo, aspettiamo le decisioni della politica».

E la politica, sembra di capire, punta ad un intervento in cui un ex Paese coloniale come il nostro non sia obbligato a bombardare, a meno che non sia il prezzo del comando. «Ma i libici potrebbero anche chiedere di tutto tranne le bombe, dall’addestrame­nto delle loro forze alla fornitura di armi, dalla messa in sicurezza dei pozzi petrolifer­i alla difesa delle principali città», era la speranza che ieri mattina si registrava al quarto piano di Palazzo Chigi.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy