Il film del Mereghetti
Il nuovo film di Carlo Verdone, L’abbiamo fatta grossa, rischia di sorprendere i molti fan del comico romano. Non tanto per lo spunto giallo o per la scelta di «dividere» la scena con un altro comico di chiara fama — Antonio Albanese — quanto per la decisione di abbandonare la sua tradizionale galleria di personaggi sconfitti o emarginati (o malinconicamente in attesa della sconfitta e dell’emarginazione) per misurarsi con una commedia che ha proprio nella trama e nell’articolazione del racconto la sua forza maggiore. Non siamo più davanti a puri pretesti narrativi — le vacanze, la convivenza, la famiglia — capaci di esaltare il trasformismo e lo spirito di osservazione sociopsicologico di Verdone, ma piuttosto dentro a un vero meccanismo di genere (quello di una commedia gialla) a cui tutto deve rispondere, dalla definizione dei personaggi alla recitazione.
Vien subito da chiedersi perché. Perché Verdone dopo 24 film più o meno simili nella loro struttura (e nella capacità di conquistare i favori del pubblico) abbia deciso di tentare una strada nuova. Non penso per stanchezza «artistica» o per inaridimento della sua capacità di lettura dei vizi e delle manie italiane; piuttosto per l’intuizione che il pubblico italiano si fosse stancato di vecchie strade e vecchi film e desse segni di una progressiva disaffezione dai tipi di commedie che avevano furoreggiato in passato ma che nelle ultime due stagioni cominciavano a mostrare segnali di cedimento. Specie al botteghino.
Nasce da qui — m’immagino — l’idea di prendere due