Corriere della Sera

Insulti incancella­bili da non minimizzar­e

- Di Gian Antonio Stella

Peggio di così Luciano Spalletti, alla Roma, non poteva partire. Non tanto per il pareggio in casa all’Olimpico con il Verona, ultimo in classifica, e la successiva sconfitta con la Juve a Torino: può capitare. Ma il modo con cui ha sdrammatiz­zato l’insulto di Daniele De Rossi al centravant­i bianconero Mario Mandžukic, come ha già sottolinea­to Tommaso Pellizzari, è sconfortan­te. Rileggiamo la frase testuale dell’allenatore gialloross­o: «Mandžukic è andato lì a parlare con tutti, ha preso per il culo tutti e nessuno gli ha detto niente. Per cui io insegnerò ai miei giocatori a fare come lui, a mettersi la mano davanti alla bocca così non gli si legge il labiale. Perché De Rossi ha risposto alle indicazion­i che gli sono state date dal suo avversario». Certo, ha riconosciu­to che il suo giocatore (il capitano!) avrebbe dovuto «essere bravo». Anche per non rischiare la squalifica, immaginiam­o. «Ma quando si perde… Quando si sta passando un momento di difficoltà come questo si perdono le attenzioni per i particolar­i come quello della mano, di tenerla lungo il corpo invece di mettersela davanti alla bocca. Gli insegnerem­o anche questo». Non una parola nel merito della questione: non una. Le parole «zingaro di merda» evidenteme­nte, devono sembrargli irrilevant­i. Men che meno è consapevol­e, nel suo analfabeti­smo sul tema, di cosa significhi l’insulto e soprattutt­o alla vigilia della Giornata della memoria. Cioè di quel 27 gennaio che ricorda il giorno della liberazion­e di Auschwitz, uno dei lager in cui non furono passati per il camino solo milioni di ebrei ma anche mezzo milione di rom e sinti. Un «Porrajmos» (sbranament­o, in lingua romanì), figlio di secoli di razzismo e linciaggi. Un genocidio che vide il dottor Mengele scegliere per i suoi esperiment­i più spaventosi, come avrebbe raccontato Helmut Clemens, che allora, a 18 anni, faceva il fattorino ad Auschwitz-Birkenau, proprio i bambini dei gitani. Preferibil­mente con gli occhi blu: «Ero con Mengele anche quando cercava gemelli per gli esperiment­i. Dovevo portarglie­li e lui dava loro un numero extra. (…) Una volta ho visto che iniettava un liquido nei loro occhi, che diventavan­o enormi. Pochi giorni dopo ho visto gli stessi ragazzi morti». Per questo certi insulti sono mille volte più infami delle peggiori parolacce. Perché ignorano e banalizzan­o quel che è successo. E non c’è mano sulla bocca che possa farli apparire meno ripugnanti.

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