È GIUSTO ALZARE LA VOCE PER UN’EUROPA SOLIDALE
Caro direttore, fino a qualche anno fa i vertici europei erano preceduti dalla domanda sui passi, piccoli o grandi, che sarebbe stato possibile compiere, in vista della «federazione degli Stati nazionali», come recitava la formula di Jacques Delors. Oggi quella domanda sembra sia andata smarrita. C’è tanta Europa nella vita dei cittadini e degli Stati, ma spesso non se ne vede né il principio, né il senso, né la direzione. L’antica definizione di «gigante economico e nano politico» può anche non corrispondere alla realtà attuale, ma il senso di incompiutezza del processo di integrazione europea è più che mai evidente.
Le divergenze interne sulle strategie per uscire dalla crisi o per la gestione dell’emergenza economica rendono purtroppo debole l’orizzonte europeo. Il nostro governo è riuscito a vincere le resistenze dei partner europei sul dossier migrazioni. Ma il ritardo dell’impegno comunitario ci consegna una situazione ancora instabile e confusa. Ebbene, se non vogliamo essere complici della nascita di una «generazione apolide europea» — come ha scritto il Guardian — allora abbiamo l’obbligo di condurre senza esitazioni la battaglia per una politica comune in termini di immigrazione e asilo.
Ma è anche sul rilancio dell’economia che l’Unione si sta giocando il suo futuro. La miopia delle politiche di austerità ha aumentato a dismisura il sentimento di diffidenza. Non c’è soluzione per battere i movimenti nazionalisti se non rilanciando strumenti e modalità di politica economica rinnovati. L’Italia ha già offerto il proprio contributo, definito dal Financial Times come quello dei «riformisti più ambiziosi», al dibattito sulla riforma dell’Unione monetaria. Un bilancio comune dell’eurozona con funzioni anticicliche, la creazione di un fondo europeo contro la disoccupazione, strumenti di mutualizzazione del debito per recuperare risorse mirate agli investimenti e una rappresentanza unitaria esterna per la zona euro: sono solo alcune delle idee presentate per rilanciare la crescita.
L’Italia deve giocare un ruolo da protagonista, e bene ha fatto il presidente del Consiglio a partecipare al vertice dei leader socialisti, alzando la voce contro le troppe lentezze. Ci convince che abbia scelto la sede del Pse per farlo: riteniamo infatti cruciale investire in quella comunità politica tutte le nostre energie per ripensare il riformismo progressista nel nostro continente. Il nodo delle politiche per la crescita può infatti essere sciolto solo dalle forze che hanno nella riduzione delle diseguaglianze la loro ragion d’essere. A patto che sappiano vincere diffidenze ed egoismi. La motivazione è, dunque, sia ideale che pragmatica: per quanto possiamo riuscire a mantenere, e anche ampliare, il consenso elettorale del Pd, non realizzeremo mai i nostri progetti senza una rinnovata alleanza con quei soggetti che, come noi,condividono l’idea di un’Europa sociale e solidale.
L’incompletezza del progetto dell’euro è, oggi, lampante. Ma ancor più lo è l’incompletezza politica e istituzionale. L’ostilità nei confronti delle istituzioni europee è in grado di suscitare sentimenti molto intensi: non si può dire lo stesso dell’europeismo. Questo è il terreno ultimo della sfida, che a Bruxelles deve essere raccolta. L’Europa deve ora scegliere un orizzonte nuovo, risolvendo le contraddizioni della propria storia recente. L’alternativa è quella di scivolare ai margini della storia. Ancora oggi in tanti non intendono rassegnarsi a questo destino. Sono loro i primi che occorre appassionare per costruire la nuova stagione europea.