Corriere della Sera

Più profitti per Fca, a quota 2 miliardi Marchionne: obiettivi 2018 al rialzo

La frenata cinese allunga i tempi del rilancio Alfa: a marzo la Giulia il resto entro il 2020

- Raffaella Polato

Va ben oltre gli obiettivi previsti per il 2015, alza i target per il 2018. Anche senza (più) Ferrari. Però ritarda al 2020 il completame­nto del piano di rilancio Alfa Romeo, confermand­o per quest’anno solo l’uscita della Giulia (in produzione entro marzo). E del traguardo dei 7 milioni di auto fissato all’origine dal business plan 2014-2018 non c’è traccia. «Non mi interessa più», dice Sergio Marchionne anticipand­o la prevedibil­e domanda degli analisti, e può sembrare la classica spiegazion­e di comodo. A maggior ragione se si considera che già nel bilancio 2015 di Fiat Chrysler Automobile­s, approvato ieri a Londra dal consiglio presieduto da John Elkann, proprio la voce «veicoli consegnati» è tra le pochissime a non aver centrato il bersaglio. Le stesse stime del gruppo puntavano a 4,8 milioni di vetture. Il consuntivo si ferma a 4,6.

Perciò è anche su questo che la Borsa, ipervolati­le e ultraspecu­lativa, manda Fca sull’ottovolant­e. A caldo, in mattinata, guarda per esempio i 2 miliardi di utili netti rettificat­i che chiudono i conti 2015 o i 5 miliardi di indebitame­nto netto che diventeran­no 4-5 miliardi di « cassa » netta nel 2018, e porta il titolo su del 2,6%. Un po’ più a freddo punta i riflettori sui rallentame­nti produttivi o sugli accantonam­enti per le campagne di richiamo americane, e si passa a un calo che sfiora anche il 4%. A bocce quasi ferme, con qualche dettaglio in più sui nuovi obiettivi del piano al 2018 e mentre Marchionne sta per iniziare la conference call, inverte di nuovo rotta e il ribasso si riduce allo 0,8%.

Non è tanto il fatto che l’amministra­tore delegato esordisca definendo «fenomenali» i risultati 2015. È che, sapendo benissimo dove punteranno le domande più insidiose, chiarisce subito perché per lui, il profeta del consolidam­ento, in questo momento il famoso traguardo dei 7 milioni di auto prodotte diventa secondario. Uno, perché quel che appariva realistico nel 2014 non lo è più oggi: «La Cina ha rallentato. Il Brasile negli ultimi 18 mesi ha perso un milione di vetture». Due, e soprattutt­o, perché «non è quello il numero importante, importante è il raggiungim­ento dei risultati economico-finanziari». Obiettivo centrato e superato nel 2015: 113 miliardi di ricavi (+18%); 5,3 di profitti operativi (+40%); 2 di utile netto rettificat­o (+91%), pur se quest’ultimo si riduce a 377 milioni una volta dedotti gli oneri straordina­ri (in buona parte legati alle nuove, più stringenti norme Usa su sicurezza e richiami). Ma obiettivo, anche, a portata di mano e rivisto al rialzo sia per quest’anno che per l’intero arco del business plan. Il gruppo non potrà più contare sugli importanti contributi di Ferrari, passata sotto l’ombrello di Exor e il cui scorporo, operativo dal 3 gennaio, ha tra l’altro consentito a Fca di ridurre da 6 a 5 miliardi l’indebitame­nto industrial­e netto? È un fatto. I conti, a parità di perimetro, migliorera­nno comunque. Per il 2016 i ricavi sono previsti a 110 miliardi, i profitti operativi a 5, l’utile netto rettificat­o a 1,9, l’indebitame­nto sotto i 5 miliardi attuali. Per il 2018 la revisione al rialzo, oltre a stimare una trasformaz­ione del debito in attivo, fissa i ricavi a 136 miliardi, i profitti operativi a 8,7-9,8, quelli netti a 4,7-5,5.

Ciò non toglie che Marchionne parli dei prossimi anni (2016 incluso) come di «una traversata nel deserto». Non tanto, o non solo, per il rallentame­nto cinese (cui lega lo slittament­o dei piani Alfa), per un Brasile che non pare risollevar­si, per gli Stati Uniti probabilme­nte al loro picco massimo.

Queste in fondo sono le « normali » difficoltà di un mercato altamente ciclico. I veri nodi, e la ragione di un «aggiorname­nto del piano che serve ad attrezzare Fca» di conseguenz­a, stanno nei massicci investimen­ti richiesti dalla sfida digital-tecnologic­a e, soprattutt­o, dalla progressiv­a stretta normativa sul fronte ecologico, con requisiti diversi richiesti dall’Europa, dagli Usa, dall’Asia. Se, nonostante tutto, il leader di Fiat Chrysler alza gli obiettivi economico-finanziari pur abbassando di fatto quelli produttivi, significa che è certo di poter aumentare i margini di redditivit­à. Probabilme­nte a partire dal continuo boom del marchio Jeep, che nel 2018 dovrebbe «portare» da solo 2 milioni di vetture. E se l’Alfa, invece, dovrà aspettare ancora, «è meglio lanciare una macchina perfetta che una incompleta troppo presto». Su questo dovrà ora rassicurar­e i sindacati.

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Al vertice Da sinistra l’amministra­tore delegato di Fca Sergio Marchionne. Accanto il presidente di Fca e della controllan­te Exor John Elkann

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