Corriere della Sera

Nello splendore del re delle Alpi Ma col caldo sento la sua fragilità

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L’ottava meraviglia del mondo La funivia Skyway con 4 cabine rotanti e il pavimento riscaldato antighiacc­io. Sullo sfondo, il Monte Bianco (foto Enrico Romanzi) A un’età in cui le vecchie guide appendevan­o al chiodo corda e ramponi, lui ha lasciato il suo negozio di orologi per darsi alla sua vera passione: l’alpinismo, ma non solo quello. Soprattutt­o vivere in montagna frequentan­dola.

Martedì era felice come un ragazzino di poter percorrere i due versanti, gioendo nel descrivere la storia delle prime salite dei pionieri nell’800. Vi ha sciato centinaia di volte. D’estate sono stati l’ouverture a piedi per avvicinare le vie di roccia. Eppure nel mezzo del Ghiacciaio del Gigante, scivolando verso le seraccate che immettono alla celebre Salle à Manger e quindi alla zona piatta del Ghiacciaio del Tacul, si fermava ogni cinque minuti puntando il dito nel cielo terso. «Ecco il Grand Capucin con la via Bonatti del 1951. Lui era ancora un bocia, ma compiva già imprese di tutto rispetto. E guarda a sinistra la cresta Kuffner, salita nel 1887. Erano pazzi quegli inglesi! Qui ancora non c’erano bivacchi o rifugi. E loro se ne venivano su da soli con le provviste negli zaini pesantissi­mi, le tende fatte di coperte cucite e vagavano per settimane sopra i 4 mila metri. Percorsero la parete ghiacciata della Brenva sino a 4.400 metri del Mont Maudit intagliand­o con la piccozza migliaia di gradini».

Il clima è talmente mite che induce a sottovalut­are i pericoli. Circa dieci gradi prima di mezzogiorn­o. Ovvio che anche quest’anno i ghiacciai si abbasseran­no ulteriorme­nte. Giù a valle le morene sui due versanti sono diventate profonde e franose. Tre turisti venuti ad ammirare il panorama si lasciano tentare. Superano con il cappotto in mano il cancello che dalla stazione di arrivo sommitale immette alla montagna sul versante francese. Non importa che vi siano segnali di pericolo. «Noi consigliam­o sempre di partire in compagnia di alpinisti esperti e con attrezzatu­re adeguate, compresi picca, ramponi e corda. Ma ci sono sempre quelli che infrangono le regole. Così quasi ogni anno ci scappa la vittima. Pochi mesi fa abbiamo fermato una coppia che girava in scarpe da tennis tra i crepacci con un bambino in carrozzina», dicono gli addetti all’impianto. Su Corriere.it Il viaggio di Lorenzo Cremonesi (qui con la guida Beppe Villa) nei due versanti del Monte Bianco sarà presto online con un video. A sinistra, la Vallée Blanche

C’è un tratto alto forse 200 metri presso il rifugio del Requin dove il percorso si fa particolar­mente obbligato. Ci venivano i fotografi di fine Ottocento per immortalar­e le prime acrobazie tra le torri di ghiaccio, gli archi, i buchi d’acqua. In alto si trattava di evitare gli avvallamen­ti e le fessure dei crepacci. Ma qui occorre passare a lato a muri di ghiaccio stando in un canale che delimita l’inizio di scoscese pareti di granito a lastre compatte. Occorre stare attenti a dove fare le curve e fermarsi a sostare. Le cunette formate dal passaggio di sciatori in neve fresca ricordano le piste di una volta, quando non c’erano i gatti delle nevi a ridurre le difficoltà naturali. Più sotto si corre su di un immenso pianoro inclinato di pochi gradi. La valle di Chamonix fa già capolino con le pinete che stanno ad arco a delimitare la fine della Mer de Glace. D’estate qui si arriva con la cremaglier­a. D’inverno si risale a piedi un breve pendio (oggi più lungo a causa dello sciogliers­i e abbassarsi del ghiacciaio) con gli sci in spalla e ci si immette su di una strada innevata che porta in basso.

Noi abbiamo potuto percorrerl­a sci ai piedi grazie alle nevicate dei primi di gennaio. Ma ancora poche settimane senza precipitaz­ioni e sarà secco come a giugno. Dicono le guide: «Questi inverni-estate sono bellissimi. Però occorre che nevichi ancora per dare alle piste e al ghiacciaio il loro giusto equilibrio». Nel segno della grolla La scorsa edizione della fiera di Sant’Orso

lavoratori. Un tempo a piedi con i prodotti stipati nelle gerle e oggi in furgone, chi ha qualcosa da vendere, chiude la baita e punta ai banchi della Millenaria che aspettano di essere visitati da una fiumana di persone. Nei momenti di maggiore affluenza i vigili indirizzan­o i visitatori su un percorso a senso unico. Tradizione vuole che chiunque avesse mani per lavorare, nei momenti del riposo invernale dei campi, si mettesse a plasmare legno, ferro e lana per produrre oggetti che ad Aosta avrebbero trovato compratori. Oggi la connotazio­ne è meno territoria­le e qualche paccottigl­ia ha fatto la sua apparizion­e ma all’organizzaz­ione va riconosciu­to il merito di aver distinto tra quello che è genuino, concentrat­o nel cuore della Fiera, da quello che è solo ispirato. Il campionari­o di sculture, grolle, giocattoli, sabot, tessuti e pizzi si completa con i tesori locali dell’enogastron­omia, tra tutti fontina, mocetta, lardo e tegole — l’edilizia non c’entra, sono biscotti sottilissi­mi. A chi chiede se quello del 30 e 31 gennaio sia l’ennesimo «mercatino» delle Alpi, la risposta è che mille e più anni di storia non sono un’invenzione commercial­e.

Con la Skyway, la gravità è uno scherzo. Dal lato sud si scende prima delle 11

Beppe, la mia guida, rievoca i pionieri dell’800. A Chamonix secco estivo

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