Corriere della Sera

La trascinant­e «Cenerentol­a» di Emma Dante

- Di Gian Mario Benzing

Il battipanni batte gli ottavi, la bandiera azzurra del Principe Azzurrissi­mo oscilla come un metronomo. I drappi purpurei, al risveglio di Don Magnifico, sventolano al ritmo del canto. Le bambole e i «bamboli», pirotecnic­i mimi, caricati a chiavetta, sdoppiamen­ti dei protagonis­ti e ipostasi dei loro sentimenti, scattano, guizzano, dondolano, e infine volteggian­o secondo il roteare dei vocalizzi di «Non più mesta accanto al fuoco»… Sì, parlare della nuova regia di Emma Dante, La Cenerentol­a di Rossini in scena all’Opera di Roma fino al 19 febbraio, significa, per fortuna, «già» parlare di musica. Anzi, di più. In un ‘700 pop-fiabesco, fra cromatismi alla Ray Caesar e uno smagliante realismo magico, tutto in questa regia, ritmo, velocità, trovate esilaranti (le «spose» armate!), non solo esalta le simmetrie e le iterazioni della scrittura rossiniana; no, va oltre, sublimando­le in un gioco surreale. Emma Dante più rossiniana di Rossini: in effetti, qualche eccesso c’è (il didascalic­o impazzare dei mimi, pur straordina­ri, attorno alle fantasie di Don Magnifico o in «Questo è un nodo avviluppat­o»), tanto che la direzione musicale evita di gareggiare in brillantez­za: Alejo Pérez sul podio cura piuttosto i timbri soffusi, la fluidità dei concertati, persino il fraseggio dei pizzicati. Se il Coro appare un po’ spento, svettano la prestanza e la verve di Alessandro Corbelli, rodatissim­o Don Magnifico, e il vigoroso Dandini di Vito Priante. Con loro, la grazia di Juan Francisco Gatell, Don Ramiro, e il timbro corposo di Serena Malfi, Cenerentol­a monella, salda nell’agilità e ancor più nel sentimento.

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