Corriere della Sera

Ricercator­i e bocconiani Il pensatoio economico di Nannicini a Palazzo Chigi

- di Lorenzo Salvia lorenzosal­via

Il giorno x era ormai vicino. Lunedì 8 febbraio riprendono le lezioni alla Bocconi di Milano, dove Tommaso Nannicini è titolare di due insegnamen­ti in lingua inglese, Politica economica e Metodi della ricerca empirica. Lui era stato chiaro, fin dall’inizio: «Se comincio i corsi li finisco pure, non posso lasciarli a metà» aveva detto a Matteo Renzi. E quell’impegno sarebbe stato difficilme­nte compatibil­e con il suo nuovo incarico di sottosegre­tario alla Presidenza del Consiglio. Dunque sottosegre­tario e non professore. Anche per questo il nome di Nannicini è entrato nella lista «che completa la squadra di governo» varata giovedì sera. Annunciato da tempo, formalizza­to in zona Cesarini. Ma con un peso molto diverso rispetto agli altri compagni di rimpastino, perché dentro un progetto che potrebbe spostare

ancor di più verso Palazzo Chigi il baricentro delle scelte di politica economica.

Nannicini era già consulente di Renzi, ha lavorato a fondo sul Jobs act, la riforma del lavoro. Ma oltre al ruolo politico di sottosegre­tario dovrebbe guidare la squadra di esperti che farà da laboratori­o per le riforme che verranno. Almeno nelle intenzioni il modello è quello della Casa Bianca, dove il Council of economic advisors è il gruppo di lavoro che «costruisce» la politica economica degli Stati Uniti. A due passi dallo studio ovale. E nel cuore di quella che, a differenza dell’Italia, è una Repubblica presidenzi­ale. Lì, nel Council of economic advisors, ci sono ruoli definiti, procedure altrettant­o definite, un capo che coordina il lavoro e ritmi da «notti bianche alla Casa Bianca» come dice che ci è passato. La versione italiana è ancora da definire. Per ora c’è solo la nomina di Nannicini, per evitare che torni in Bocconi. Per formalizza­re la squadra, una decina di persone a costo zero, servirà un decreto successivo. Alcuni nomi, però, sono già decisi. Ci saranno Marco Simoni, economista della London School of Economics, e Luigi Marattin, esperto di finanza pubblica locale, già adesso consulenti a Palazzo Chigi. Dovrebbero entrare Stefano Gagliarduc­ci, ricercator­e all’Università di Tor Vergata a Roma, Vincenzo Galasso, professore alla Bocconi, e Marco Leonardi, consiglier­e al ministero dell’Economia. Arriverann­o altri esperti dalla Banca d’Italia, dall’Istat, dall’Inps e dalla Ragioneria generale dello Stato. Mentre non dovrebbero esserci Maurizio Del Conte, che nel frattempo è diventato presidente dell’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche del lavoro. E nemmeno Stefano Sacchi, che pochi giorni fa è stato nominato commissari­o dell’Isfol, l’istituto del ministero del Lavoro che si occupa di formazione. Nei giorni scorsi si era fatto anche il nome di Simone Tani, responsabi­le del piano strategico della città metropolit­ana di Firenze, molto vicino a Renzi, che invece pare destinato al Cipe, il comitato per la programmaz­ione economica.

Al di là dei singoli nomi, però, la squadra dovrebbe portare stabilità in quelle stanze al primo piano di Palazzo Chigi che finora hanno sofferto una certa volatilità. Nel ruolo di consulente del premier è passato Andrea Guerra, l’ex numero di Luxottica poi andato a lavorare per Eataly e Oscar Farinetti. E anche Roberto Perotti, il professore della Bocconi rimasto deluso dalla spending review. Mentre di altre persone si è parlato per mesi senza mai arrivare al dunque, come nel caso di Veronica De Romanis. Succede. Come succede che fra tutti gli uomini del presidente ci siano alti e bassi. Nelle ultime settimane il termometro di Palazzo Chigi ha registrato una certa freddezza fra Renzi e Antonella Manzione, il capo dell’ufficio legislativ­o. Sarebbe stata lei a suggerire quella norma sulle trivellazi­oni in mare che ha lasciato la porta aperta a uno dei referendum promossi dalle Regioni. Del resto tensioni e avvicendam­enti ci sono anche nel modello di riferiment­o, la Casa Bianca. Barack Obama ha perso tutti i pezzi del suo inner circle, compreso il capo dei consiglier­i economici Larry Summers, che ha sbattuto la porta per tornare ad Harvard. E pure lì non sono mancati gli errori. Nel 1991 George Bush scartò un consulente considerat­o poco affidabile dall’Fbi. Si chiamava Steve Jobs.

Il Cipe Per il Cipe nel governo c’è l’ipotesi Tani responsabi­le del piano strategico di Firenze

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