Corriere della Sera

Gino Barile, l’uomo della grappa «Metterla in botte, il mio segreto»

Il produttore, 83 anni: «La distilliam­o nobilitand­ola come il Cognac»

- Marco Cremonesi

La formula vincente La formula? Al 40% bagnomaria, 20% fuoco a legna, 15% vinacce e 25% uomo

Lui è un autentico signore operaio, con la cravatta che spunta sotto la tuta da lavoro. È genovese, ha 83 anni, e ancora sale su e giù, cento volte al giorno, dalla scaletta di legno tra la bocca della fornace e quelle degli alambicchi. Sposta casse di vinaccia da stroncare, s’arrampica sulle botti ma se racconta, parla soprattutt­o dei protagonis­ti delle sue tre vite: l’amico e socio Antonio Bormida, scomparso nel 1999, e la bella moglie Nuccia: «L’ho sposata che aveva la metà dei miei anni, 24 a 48. Se non ci fosse lei...».

Al dunque: lui è Luigi Barile, Gino, e fa la grappa più buona d’Italia. Lo disse Luigi Veronelli, gigantesco maestro, e ovviamente aveva ragione: chi non ha assaggiato la grappa Barile, ancora non sa che cosa può essere la grappa. Ci si prepara a un distillato tradiziona­le, pur sapendolo grande, e invece lei mostra nuove strade. Ci si attende il pugno amichevole della grappa, e invece la Barile è diversa e sottile, vibrante di sapori che appaiono e lasciano spazio ad altri nuovi. Un’ispirazion­e per tutti i giovani che volessero dedicarsi a distillare.

Ma ci vuole ordine. Della sua prima vita, il “Gino” parla poco: «È stata di una miseria, ma di una miseria... Vivevamo in una stalla». La commozione ha il sopravvent­o, la riscatta il ricordo del quarto protagonis­ta: don Andrea Gallo, fraterno amico dall’infanzia, partigiano quando Gino era staffetta nella Genova di allora. Poi, la vita di Barile diventano i cantieri dell’Ansaldo di Sestri. E lì, nel 1958, sotto lo scafo del transatlan­tico Leonardo da Vinci in costruzion­e, nasce tutto: Gino e Bormida bevono il quartino di latte che l’azienda distribuis­ce a scopo depurativo e sognano di fuggire. Di fare qualcosa di loro: «Magari la grappa, ci piaceva l’idea di lavorare solo 40 giorni all’anno», dato che le vinacce da grappa devono essere fresche. L’idea resta lì, ma Gino la vita la cambia lo stesso. A quarant’anni si diploma in ragioneria alle serali: «La cosa più dura della mia vita, temevo di non farcela». Ma ha torto, ce la fa. Diventa commercial­ista e funziona, con l’arrivo del modello 740 è l’Eldorado. Con i guadagni, i due amici partono a cercarsi la loro distilleri­a. A Silvano d’Orba, due passi da Ovada: allora aveva 5 rinomate distilleri­e su circa 1.500 abitanti.

L’amore scatta per un alambicco in disarmo, quello a bagnomaria della distilleri­a Lasagna chiusa da anni. Immaginate una fornace profonda, capace di contenere 8 metri cubi di braci di legna e vinacce esauste. Sopra, c’è la caldaia d’acqua, in cui sono conficcati due alambicchi da 240 chili l’uno. Poi, la colonna di rettificaz­ione, una serpentina di raffreddam­ento da museo. Infine il contatore con i sigilli dell’Erario.

Sembra facile, ma non lo è. L’alambicco ha raggiunto il secolo di vita e richiede le cure dei grandi vecchi. E poi, la bassa resa è un credo: i 240 chili di vinaccia non devono dare più di 12 litri di grappa. Il chilometro zero è là da venire, ma per i due amici la scelta è sempliciss­ima: si usano le vinacce del dolcetto di Ovada, il re della zona. È monovitign­o ante litteram. Infine, i due hanno una pazza idea: mettere la grappa in botte. Nel 1976 non lo fa nessuno. Ma loro vogliono nobilitare il distillato di casa: « Come il Cognac, come il whisky». E infatti, per la cantina ci si imbatte in barili con la scritta Ardbeg o gli stampi di altre grandi distilleri­e di Scozia di cui si riutilizza­no le botti. Anche la scritta fuori dalla distilleri­a, Barile lo ammette di buon grado, è ispirata dalle grandi distilleri­e di Islay.

I primi anni, Gino quasi non vende nulla, distilla per far cantina. Oggi quei barili sono un tesoro. Eppure... Non è che basti distillare dolcetto per fare grappa Barile. Dove nasce la magia? La formula di Gino è: «Al 40% è merito della distillazi­one a bagnomaria, il 20% del fuoco a legna, il 15% delle vinacce e il 25% dell’uomo, con la scelta della bassa resa e della selezione».

E poi, certo, fanno tanto anche il legno delle botti e il riposo per anni e decenni, anche se Gino è capriccios­o, i risultati non gli piacciono tutti allo stesso modo. Eppure, non so se è contento che lo si dica, ma la grappa Barile bianca, la base, resta davvero indimentic­abile. La grappa più buona del mondo.

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